Se, qui in Italia, si provasse a smettere i panni del tifoso accecato, allora anche tutti gli “anti-berlusconiani” non biasimerebbero l’esito dell’ospitata a Servizio Pubblico di Silvio Berlusconi. Si “accontenterebbero” di come il Cavaliere, ancora una volta, abbia offerto alla platea di ascoltatori qualcosa di più scadente del nulla in termini contenutistici, e, cioè, dilettantistiche operazioni di manipolazione e distorsione dei fatti, tirando fuori da un cilindro consunto storielle e giustificazioni puerili che si contraddicevano l’un con l’altra. Del resto, la credibilità del personaggio sta tutta nel ridicolo rovesciamento di strategia elettorale basata originariamente sul gemellaggio con Mario Monti che, una volta verificatone l’inattuabilità, è diventato all’improvviso il nemico n.1 (come è successo, in senso inverso, per l’acquisto di Balotelli).
Cosa si pretendeva in più, oltre che a dipingere e trattare il Cav come una “macchietta” per l’intera trasmissione? Non ci si dovrebbe curare di alcune interpretazioni cronachistiche secondo le quali Santoro e Travaglio hanno fatto un regalo elettorale al Berlusca, anche perché sarà il popolo, fra qualche giorno, a giudicare, no?
Già, ma forse è proprio il “popolo italiano” ad essere temuto, poiché ha “regalato” più volte il trono al “reginetto” di Arcore! Non ci sarebbe proprio da fidarsi “dell’ottusità, del servilismo e uniformismo del nostro popolo” come dicono in tanti…Bè, con ciò si ammette, però, che il nostro sistema socio-culturale è profondamente malato, addomesticato ed inquinato anche da altri poteri e interessi privatistici precedenti e contemporanei a quelli del tremebondo Cavaliere: del resto, prima della sciagurata discesa in politica del Cav, non si erano mai levati poderosi cori di disapprovazione nei confronti dell’offerta d’intrattenimento della sua televisione. Anzi, la televisione commerciale è stata accolta come una benedizione, e se non l’avesse inventata lui, ci avrebbe provato sicuramente qualcun’altro. Ancora oggi, trasversalmente a qualsiasi pensiero e paradigma politico, tanti e troppi italiani, nonostante il dilagare di una indignazione permanente, ma del tutto infruttuosa, si dimostrano poco interessati ad evolversi, a migliorarsi, a migliorare la propria “testa”, drammaticamente refrattari alla collaborazione e partecipazione civica, alla solidarietà sociale, preferendo prendersi cura solo dei propri “orticelli”.
Come doveva comportarsi, quindi, il duo Travaglio-Santoro evitando di scivolare nella rissa? Si era ben consapevoli di quanto fosse illusorio il tentativo di una dialettica credibile e fruttuosa fra le due parti bloccate su pregiudizi incancellabili; come sia impossibile rimanere ancorati alla realtà con un “contaballe” del calibro di Silvio Berlusconi…Il risultato finale era ampiamente prevedibile, considerati anche gli “accordi di non belligeranza”, riguardo ad alcuni temi, stipulati dalle due parti: un talk-show che ha preso presto le sembianze di un spettacolo-cabaret grazie al quale Santoro, come aveva previsto e calcolato, ha raggiunto un audience da record. Certo, un episodio che fa la storia della televisione, simboleggiato dal duello quasi fisico fra ospite e conduttore; non proprio, però, ciò che si debba intendere per “servizio pubblico”!
Ma quante trasmissioni e testate fanno davvero “servizio pubblico” qui in Italia? Alcune ci provano, molte altre illudono, se non ingannano, il grande pubblico riguardo al proprio ruolo, utilizzando come arma di consenso le “nobili cause”, i “valori”, i “principi morali indiscutibili”, gli slogan di successo fissati nell’immaginario collettivo, i “simboli intoccabili ed eterni” (inclusi quelli in carne ed ossa), i “grandi temi”, l’indignazione collettiva, che sintetizzano nell’ “antiberlusconismo”; sfruttando i meccanismi ricattatori della “buona causa” e arruolando personaggi “pop” ormai avvezzi all’ “impegno da salotto” (oltre a Vauro, Saviano, Gramellini, Severgnini, Landini, o l’imprenditore, presunto benefattore, “di sinistra” – come Farinetti e Della Valle -, oppure il magistrato “attivista” alla Ingroia, sulla scia di Di Pietro e De Magistris, i Celentano, i Benigni, ancora prima la Guzzanti). Oltre ad analizzare, come hanno già fatto acuti commentatori, quanto questo atteggiamento derivi da una convinzione di “superiorità morale”, di essere dalla “parte giusta” e nelle condizioni di “poter catechizzare”, e dalle esigenze da audience, o da una commistione di tutto ciò, è fondamentale considerare gli effetti di una informazione o, meglio, di una comunicazione di questo tipo – poiché si basa più sull’emotività che sulla razionalità – che non è certo intimamente cristallina, a dispetto di come vuol apparire. Anzi, risulta distorta, viziata e, quindi, controproducente in termini di progresso culturale, dalla visione e dalla retorica populista, dalla logica commerciale che la dominano e dai personalismi e narcisismi dei suoi attori. Da “Anno Zero” ad oggi si è costruita una squadra o un partito di “salvatori della patria”, “di martiri (a pagamento, come amano rimarcare quelli de Il Giornale) della censura”, di “incorruttibili rivoluzionari in terrazza” che sfrutta proprio quel tipo di comunicazione. Talvolta sembra di avere a che fare – prendendo a prestito le formule sviluppate da Alessandro Trocino nel suo “Popstar della Cultura” – “con una cultura militarizzata orientata al manicheismo in cui si mortifica il contraddittorio, si abolisce il dubbio e la sfumatura, si semplifica il complesso” per puntare alla pancia più che alla testa del pubblico, si esaltano i personalismi e si cavalca l’antiberlusconismo pur di autoreferenziarsi a “paladini” dell’informazione. Sino a sfociare nel “legalitarismo unanimista e di maniera” aggiungerebbe il professor Alessandro Dal Lago, principale riferimento per lo studio della commistione marketing-cultura.
E’ difficile reprimere il sospetto che, specialmente per quelli che ricevono cachet milionari (come succede a Santoro e Fazio), lo scopo primario del proprio agire e comunicare sia quello di alimentare un’ “industria della denuncia”, conquistare ampie fette di pubblico strumentalizzando temi facilmente condivisibili e comprensibili dalle masse, come l’antiberlusconismo, servendosi della popolarità di certi personaggi mediatici – specialmente di quelli già “iconizzati” – sino a costituire una nuova parrocchia televisiva dalla presunta “superiorità morale” che, però, spiega ed informa davvero poco. Come se si avesse il dono di riuscire a distinguere nettamente fra “buoni” e “cattivi”, sebbene il circuito commerciale-consumistico che ha consacrato e premiato economicamente i “parrocchiani” sia impregnato di berlusconismo, che, come ha già sottolineato Oliviero Beha, è preesistente nella cultura nostrana allo stesso Berlusconi. Michele Santoro, in particolare, condivide i massimi privilegi vippistici tanto che, anche nel periodo in cui era esaltato quale “martire della censura informativa”, è sempre riuscito a coprirsi bene le spalle: si è arricchito anche grazie alla conduzione in Mediaset e dopo il famoso “editto bulgaro” si è rifugiato nelle comode poltrone dell’EuroParlamento, per poi riprendersi un posto da protagonista in RAI.
Fa un po’ specie, quindi, che apra spesso la sua nuova trasmissione con “siamo diventati tutti più poveri” o che possa essere assurto a “eroe dell’antiberlusconismo”. Rischia di rivelarsi tutto un po’ un trucco o un’illusione, perché i Berlusconi e i “berluschini”, a dispetto dell’indignazione generale, abbiamo contribuito a crearli un pò tutti noi, sono prodotti della nostra stessa cultura, a cui appartengono pure quelli che rimarcano costantemente ed orgogliosamente di aver sempre votato “a sinistra” (quale?) (la “domanda” condiziona l’ “offerta”, no?).
Il più grande furbetto “dell’applauso facile”, rimane, però, l’ex comico Fabio Fazio che non ha tardato a gemellarsi con Roberto Saviano, cioè con colui che è stato elevato ad “eroe anti-camorra” grazie al successo commerciale del suo unico libro “Gomorra”, sebbene in quelle pagine siano contenute verità meno scottanti e sistematiche di altri saggi sull’argomento che le hanno precedute. Guarda caso, per la prossima conduzione di Sanremo, Fazio ha arruolato tutti gli acclamati masterchef della cucina casalinga che rappresentano l’ultimo grande fenomeno mediatico di successo popolare.
Dai suoi detrattori più irriverenti, il nuovo presentatore “nazional-popolare” ha già ricevuto numerose etichette, tutte velenosissime: “l’intervistatore senza domande”, “il Vincenzo Mollica (o se si preferisce l’omologa del TG5, Anna Praderio) apparentemente impegnato”, “il demiurgo del chiacchiericcio pensoso”, “il cantore del paraculismo d’essai”. In effetti, i programmi di Fazio, non a caso a marchio “Endemol” (di proprietà Mediaset), assomigliano a salotti di autocompiacimento, a “un santuario e cenacolo dei ceti medi riflessivi”, alcuni “dei pochi posti in cui più non mordi, più puoi ergerti a martire” li ha definiti Andrea Scanzi su MicroMega, in cui è vietato il confronto-scontro politico e che si autolegittimano con la presunta funzione del “fare cultura”. Già, ma quale “cultura”? Quella del marketing editoriale? Della difesa dei “buoni valori di sinistra” che, poichè la sinistra è fallita, si confonde col grezzo antiberlusconismo?
Adesso si è pure aggiunto Gianluigi Paragone che, con la scusa dell’ “impegno civile”, propone stacchetti musicali di rock stonato per pubblicizzare la sua band e se stesso nella veste di vocalist sfruttando la visibilità che RaiDue concede al suo programma “L’Ultima Parola”.
E’ la nuova cultura che si dice e si crede “di sinistra”, ma, in realtà, “di sinistra” ha ben poco, semmai è qualcosa “di sinistro”. La cultura de “La Repubblica” e del Partito Democratico che, avendo ormai aderito al paradigma neoliberista, critica i potentati, ma, contemporaneamente, vi si allea. Che denuncia il conflitto d’interessi berlusconiano, ma non si è mai attivata concretamente per abbatterlo, perché altrimenti indebolirebbe l’intricata rete di conflitti d’interessi su cui essa stessa si dispiega, da cui crede e vuole far credere di elevarsi.
E’ vero che Berlusconi, negli ultimi 18 anni, ha avuto la possibilità di governare l’Italia più di qualunque altro leader politico (“premiato”, comunque, dal popolo e non da golpe militari) e, quindi, su di lui debbano concentrarsi le critiche e le proteste più feroci; tuttavia, dobbiamo anche ammettere che il nostro Paese, dalla costituzione della Repubblica ad oggi, è rimasto sempre il medesimo. Anzi, se si guarda cosa c’era dietro la corsa al benessere dell’epopea democristiana, si trova lo stragismo di stato, la corruzione, ruberie di ogni sorta, sprechi, diffusione e consolidamento del sistema criminale mafioso, “cieco americanismo”, ecc.
Inoltre, per offrire al lettore o allo telespettatore un quadro più completo e realistico, oltre a denunciare le malefatte del berlusconismo e dei governi berlusconiani, occorrerebbe denunciare anche quelle, forse peggiori per effetti, degli organismi sovrannazionali, a partire dall’UE. Infine, il frequente ricorso alla comparazione con gli altri sistemi politici nazionali non dà certo garanzie in termini di approfondimento informativo, tanto che, in alcune situazioni, sorge il sospetto che rientri nella strategia di ammiccamento al “grande pubblico”. Non c’è bisogno di rimarcare l’impresentabilità di Berlusconi in rapporto agli altri governi e leader occidentali, come ha nuovamente fatto Marco Travaglio nella puntata di “Servizio Pubblico” completamente dedicata all’ex premier. Si può immediatamente ribattere, infatti, che, in quanto impenitenti guerrafondai, arrogatisi il diritto di attaccare qualsiasi popolo, i britannici e gli americani siano ancora più impresentabili (per non parlare dei cugini francesi che, a distanza di trent’anni, continuano a nascondere le verità sulla strage di Ustica)! Negli ammiratissimi States, poi, violenza e corruzione hanno ormai raggiunto livelli apocalittici come attestato dagli episodi quotidiani di cronaca nera, mentre i conflitti d’interessi sono ancora più numerosi e diffusi e, spesso, eclatanti e lampanti quanto quello berlusconiano.
Anche l’utilizzo strumentale, ai fini di audience e di consenso mediatico, della vicenda “della finta nipote di Mubarak” non pare proprio un esempio virtuoso di servizio pubblico. Sicuramente è un problema, in termini di credibilità anche internazionale, che una delle maggiori figure istituzionali del Paese si trastulli quotidianamente in vizi e capricci a luci rosse e si circondi di personaggi inquietanti a dir poco, ma, ci chiediamo, se non sia giornalisticamente più etico contrastare o denunciare i mali del potere berlusconiano sul piano politico-istituzionale in cui si può disporre di dati e informazioni più precise, chiare e verificabili, lasciando da parte la sfera privata. Pure, in questo caso, tra l’altro, Travaglio utilizza dei termini di paragone a livello internazionale non appropriati, citando involontariamente il maggior scandalo sessuale della storia, quello nel quale fu coinvolto Bill Clinton a cui non rimbalzò mai nella testa l’idea di dimettersi (del resto, “poveretto”, fu l’unico presidente americano a dover subire una condanna morale di quelle proporzioni, nonostante si sappia da decenni che quasi tutti i suoi predecessori furono coinvolti in varie tresche sessuali, anche parecchio squallide).
Se ci togliessimo, solo per un attimo, i panni degli anti-Berlusconi, riusciremmo a riflettere, con maggior serenità e lucidità, su quanto, in riferimento a quella telefonata notturna in caserma “pro-Ruby”, sia così significativo ed importante per la vita politica del nostro Paese che l’allora presidente del Consiglio – dotato di incommensurabile capacità d’influenza anche nel privato – abbia osato (!) condizionare un ufficiale, senza, comunque, danneggiare terzi, per evitarsi un ulteriore imbarazzo. Quando tutti sappiamo, che, ad ogni minuto del giorno, ogni potente e potentato d’Italia e del pianeta si prende licenze ben più gravi nei confronti del bene collettivo…Dentro la testa di chi vuole pensare liberamente e senza vincoli, queste inchieste giudiziarie non dovrebbero generar perlomeno perplessità circa la loro opportunità? Se non altro, in rapporto agli ingenti costi (per migliaia di intercettazioni) ed alla priorità di altre questioni innervate nel tessuto criminale-mafioso del nostro territorio.
Non convince la totale fiducia concessa da Travaglio alla magistratura che, al pari delle altre istituzioni, può essere rappresentata, per tanti validi motivi, come un concentramento di potere di tipo castale. Anche perché, a dispetto della fiorente produzione del giornalista torinese, non è “scientificamente comprovata” l’assenza di un legame fra l’inizio dei guai giudiziari del Berlusca e la sua discesa in politica. Giusto demolire, in tutti questi anni, il mito e l’impero berlusconiano, ma, forse, nella “battaglia per la conquista della Verità” – pur fissando quale obiettivo primario l’accertamento della “diabolicità” del “Cavaliere nero” – sarebbe stato altrettanto opportuno non scartare a priori l’ipotesi di un utilizzo politico degli strumenti giudiziari. Del resto, abbiamo constatato, da “Mani Pulite” in poi, quanto i magistrati – preda pure loro delle mille debolezze umane -, amino mettersi sotto i riflettori come confermato, ancora una volta, dalle recenti “new entry” in politica. Inoltre, la stessa inchiesta di “tangentopoli” si è rivelata, per certi versi, una farsa, dato che molti esponenti della cosiddetta “Prima Repubblica”, non si è capito ancora bene perché, non sono stati minimamente sfiorati. Oltretutto, se ci dovessimo attenere alle sentenze giudiziarie, gran parte delle accuse che si rivolgono normalmente a Berlusconi si riducono a semplici illazioni. Certo, a chiunque viene il sospetto che il personaggio sia capace di qualsiasi “magheggio”, ma, almeno in questo caso, occorre convenire (!) che “una prescrizione non equivale ad una condanna” tanto che si è “ancora fermi” ad un’unica condanna di primo grado nei suoi confronti.
Nel ruolo di giornalista che s’impegna a restare ed apparire imparziale, si dovrebbe mantenere, poi, un distacco (questo vale più per Santoro, in verità) nei confronti dei magistrati “militanti” “all’Ingroia”: ma, forse, la battaglia all’anti-berlusconismo e la necessità di allargare la squadra di “super-eroi dell’informazione libera” porta ad accantonare questo vincolo deontologico? Fare il “giornalista militante” non si dovrebbe tradurre in un’alleanza dichiarata a leader politici come Di Pietro pur di rafforzare la causa antiberlusconista, e in una marcata esposizione nei confronti del Movimento Cinque Stelle, sebbene questo si proponga come antitetico al sistema, o no? E’ contraddittoria (ed immorale) la strenua difesa dell’operato Di Pietro, anche quando la gestione personalistica e disinvolta del suo movimento, in pieno stile berlusconista, e, soprattutto, delle sue risorse milionarie, è salita (finalmente) sulla ribalta mediatica.
Sembra che questa nuova classe di intellettuali militarizzata sia sempre alla ricerca del nuovo “guru di sinistra” per rafforzarsi ed autolegittimarsi, tanto che a personaggi di discutibili qualità – come De Magistris, incapace di andar oltre le consumatissime cantilene no-global – si è regalata, ai fini del successo politico, una costante visibilità mediatica, spesso ingiustificata in rapporto alle azioni di cui si son resi protagonisti nel settore di provenienza. De Magistris si è occupato di una vicenda giudiziaria che pareva infastidire i “poteri forti”, ma di cui non si è poi saputo più nulla; Benigni e Celentano continuano a fare gli “anti-sistema da terrazza” a suon di milioni, con il primo che ha vinto un Oscar copiando la sceneggiatura di un altro film; Antonio Ingroia, editorialista del Fatto Quotidiano, non è ancora giunto a delle conclusioni sulla presunta trattativa Stato-Mafia, ma si guadagnerà un posto in Parlamento e privilegi da parlamentare a vita formando un movimento in cui si sono rifugiati i vetero-comunisti e i dipietristi visto il progressivo azzeramento di consensi dell’IdV; Fabio Fazio e Massimo Gramellini fanno i sacerdoti dei buoni valori (di sinistra?) mentre nel loro salotto di feticci commerciali sfilano impresentabili come Tronchetti Provera, Marchionne, Massimo Boldi, Lapo, Carla Bruni, Casini, Fini, Maroni e tutti i principali rappresentanti della casta politica e dei potentati economici; Vauro, Sabina Guzzanti o la Littizzetto “stanno dalla parte del popolo” seduti da anni su comode poltrone televisive gonfie di quattrini; le archistar alla Massimiliano Fuksas – strapagate dalle amministrazioni pubbliche per “imbrattare” il paesaggio aulico del nostro Paese con grattacieli e palazzoni “american style” – sono invitate a pontificare nell’etere seppur vivano ormai “fra le nuvole” rispetto alla gente comune; come denunciato dal sociologo Alessandro Dal Lago in suo libro, Roberto Saviano, purtroppo, è finito per diventare uno dei massimi esponenti della retorica dell’eroismo sfruttata in termini di intrattenimento televisivo; eccetera e eccetera.
di Gaetano Farina
Letture di riferimento:
Popstar della Cultura
di Alessandro Trocino
Fazi (2011)
Eroi di Carta
Il caso Gomorra e altre epopee
di Alessandro Dal Lago
Manifestolibri (2010)
La Sinistra è di Destra
di Piero Sansonetti (2013)
Bur Rizzoli
Il Culo e lo Stivale
I peggiori anni della nostra vita
di Oliviero Beha
Chiarelettere (2012)
I Conformisti
L’estinzione degli intellettuali d’Italia
di Pierluigi Battista
Rizzoli (2010)
Il Grande Silenzio
Intervista sugli intellettuali
di Alberto Asor Rosa
Laterza (2009)
Come un Gufo tra le Rovine
di Filippo Ceccarelli
Feltrinelli (2013)
La Società dello Spettacolo
di Guy Debord
Dalai (2008)
Ipermondo
Dieci chiavi per capire il presente
di Vanni Codeluppi
Laterza (2012)
Egemonia Sottoculturale
L’Italia da Gramsci al gossip
di Massimiliano Panarari
Einaudi (2010)
Il Tribuno
Storia politica di Antonio Di Pietro
di Alberico Giostra
Castelvecchi (2012)
Il Sottobosco
Berlusconiani, dalemiani, centristi uniti nel nome degli affari
di Claudio Gatti e Ferruccio Sansa
Chiarelettere (2012)
Berlusconi o il ’68 Realizzato
di Mario Perniola
Mimesis (2011)
Noi, i Barbari
La sottocultura dominante
di Pier Aldo Rovatti
Raffaello Cortina (2011)
Il Golpe Europeo
I comunisti contro l’Unione
di Marco Rizzo
Dalai (2012)
La Mutazione Individualista
Gli italiani e la televisione 1954-2011
di Giovanni Zozzini
Laterza (2011)
Democrazia S.p.A.
Stati Uniti: una vocazione totalitaria?
di Sheldon S. Wolin
Fazi (2011)
Illusioni Necessarie
Mass media e democrazie
di Noam Chomsky
Eleuthera (2010)
La Democrazia Infondata
Dal contratto sociale alla negoziazione degli interessi
di Alessio Lo Giudice
Carocci (2012)