di Fabrizio Valenza
Il primo italiano in imbarazzo sono io, in questo caso. Vorrei condividere con voi alcuni brevi ragionamenti, semplici input derivanti da due film visti di recente. Si tratta del musical cinematografico Les Misérables e del bel Lincoln, di Spielberg.
Mentre guardavo Les Misérables venivano a galla soprattutto pensieri riguardanti questa nostra povera Italia, povera soprattutto sotto l’aspetto dei valori. Desiderio di ripartire, rifacendosi un’identità, ricostruendo il proprio cammino vitale come per Jean Valjean sono certamente elementi molto presenti nell’italiano di questi anni. L’idiozia politica che abbiamo vissuto in questi ultimi vent’anni è tale da aver minato alle fondamenta, come sappiamo tutti, le reali possibilità che l’italiano medio ha di costruire la propria vita. Lo vedo in questi mesi con l’iniziativa di cui questo blog è frutto, Il Libro Ritrovato, messa in piedi assieme a Barbara Bernardi e Micaela Morini: un’ottima idea, un’ottima offerta, resa più difficile dalla generale impreparazione culturale dell’italiano medio e dalla poca capacità economica diffusa tra la popolazione. Anche se hai idee, è difficile riuscire a farle diventare guadagno. In Italia ci si deve battere e sbattere molto più che in qualunque altro Paese.
Ma nei Misérables c’erano anche atti di eroismo, decisioni assunte dalla popolazione per riscattarsi da un pantano nel quale si è finiti dopo la speranza. Lì era la Rivoluzione Francese e la successiva Restaurazione. Qui è Mani Pulite e la successiva decadenza italiana, nella quale siamo immersi. Lì c’erano persone pronte a sacrificarsi pur di affermare la vita e la vitalità di una democrazia soffocata. Qui ci sono persone tutte chiuse su se stesse, nemmeno più in grado di votare chi non faccia parte del solito establishment. L’Italia di oggi non produce più uomini che sappiano distinguere e che vogliano distinguere. Le nuove proposte elettorali ci sono. Sono molto deboli, molto limitate, è vero, ma ci sono. Forse varrebbe la pena tentare una nuova strada, anziché quel che già si conosce?
Poi ho visto Lincoln. Non uno dei film migliori di Spielberg, a mio giudizio, anzi, piuttosto lento e troppo “americano” nella prima parte, mette però in luce la bravura di Daniel Day Lewis e, soprattutto, la capacità di un uomo nel modellare la storia, del proprio Paese, del mondo. L’abolizione della schiavitù non è stata una strada semplice, è passata attraverso la peggior guerra vissuta dagli Stati Uniti (la Guerra di Secessione); inoltre, non è stata raggiunta del tutto in maniera limpida. Nel film passa il concetto che Lincoln si sia mosso anche con mezzi che noi oggi chiameremmo corruzione, voto di scambio o chissà come.
Una prima riflessione suscitata da questo film riguarda la statura dei nostri uomini, di quelli dell’Italia unita, intendo. Abbiamo certamente eroi che oggi non ricordiamo e celebriamo praticamente più: Garibaldi, Mazzini e altri del Risorgimento. Ne potrei citare alcuni più recenti: Einaudi, per esempio. Poi ce ne sono di più menzionati perché più “freschi” alla corta memoria degli italiani: Falcone e Borsellino. Veri eroi, mai troppo citati!
Però la mia riflessione, poi, devia, verso un aspetto più insidioso suggeritomi da questo film: non è che per agire, noi Italiani aspettiamo che una situazione sia ideale? Intendo dire, troppo ideale, eccessivamente (e fittiziamente) ideale. Che corrisponda a un principio perfetto e a una condizione perfetta nella quale applicare ciò che vogliamo ottenere. Gli Americani sono pragmatici. Io amo sempre più il pragmatismo, il vero aspetto glorioso degli Stati Uniti. Il Parlamento italiano si impantana sempre sulle logiche delle varie fazioni, ma si impantana anche sullo scoglio dell’ideale assoluto.
Perché non siamo più pragmatici? Se dobbiamo modificare, cambiare qualcosa, agiamo, senza aspettare che la situazione sia la migliore possibile, senza attendere che il principio da affermare con l’azione sia il più puro di tutti. Perché in questa attesa di purezza e di perfezione (mai raggiunta) si nasconde la presunzione di essere sempre nel giusto (mi viene in mente uno slogan, quello di Bersani e del PD, – L’Italia giusta…).
Non c’è un’Italia Giusta. Secondo me può esserci solo un’Italia Migliore. Se non capiamo questo, non ci muoveremo mai. Pragmatismo, signori. Pragmatismo.