Il libro ritrovato. Consiglieri di pagineStoria di una fede – I Miserabili / 3

di Fabrizio Valenza Ci sono intere sezioni del romanzo I Miserabili dedicate all'approfondimento di aspetti puramente storici - come la battaglia di Waterloo - o architettonici - come la storia del...

di Fabrizio Valenza

Ci sono intere sezioni del romanzo I Miserabili dedicate all’approfondimento di aspetti puramente storici – come la battaglia di Waterloo – o architettonici – come la storia del Picpus. Altre sezioni sono dedicate alla descrizione della situazione sociale dei cosiddetti “monelli”, come Gavroche, o di un unico personaggio. Le prime settanta pagine del romanzo, dedicate al minuzioso tratteggio del Monsignor di Digne, costituiscono un approccio che nessuno scrittore contemporaneo, a parte forse Umberto Eco, oserebbe adottare.

Un simile approccio sarebbe impossibile in un romanzo dei nostri giorni, perché lo renderebbe illeggibile e impresentabile a livello editoriale. Oggi si pensa che dedicare le prime settanta pagine di un romanzo alla minuziosa descrizione del carattere di un personaggio innalzi solide barriere tra il lettore e la sospensione dell’incredulità. Ebbene, nel caso di Hugo il risultato è proprio l’opposto. Una volta terminato ognuno dei suoi panegirici storico-cultural-socio-filosofici, qualunque esso sia, non veniamo estromessi dal contesto del romanzo, ma ci troviamo ancora di più nel cuore della vicenda. Con un tuffo diretto nel realismo più puro, sappiamo esattamente cosa sta accadendo. La domanda che, spesso, mi ha accompagnato mentre lo leggevo era: ma questa storia è accaduta sul serio?

La risposta non può che essere una, ovvero che I Miserabili è una storia vera!

Come tutte le storie reali, che parlano della vita vera, siano o no ispirate a valori religiosi, I Miserabili sfida il lettore sul campo della fede. Non di una fede posticcia, superficiale, per sentito dire o perché così-si-deve. Hugo sfida il lettore a credere che ciò che racconta possa accadere, accompagnandolo con sapienza e umanità nella possibilità di scorgere negli eventi della vita qualcosa di ben superiore. Hugo non vuole dimostrare l’esistenza di Dio, ma sa bene che la fede è il dato imprescindibile di ogni storia vera. Per questo motivo ci sfida sul campo di quella fede che appartiene a ogni essere umano, credente o no. Una fede umana, che va al di là di ogni contingenza e di ogni materialità.

Quando Jean Valjean comincia a intravedere qualcosa oltre i fatti meramente e prosaicamente quotidiani, fatti di violenza e malvagità, cominciamo a confrontarci con la sua esperienza di “ciò che è altro”. C’è qualcos’altro nella vita delle persone, oltre a ciò che tocchiamo con mano, oltre a ciò che possiamo subire o possiamo decidere di fare, motivati dal nostro egoismo. Un’esperienza che è esperienza di tutti, sebbene non riusciamo quasi mai a darne una definizione. Ebbene, I Miserabili narra, attraverso gli occhi di Valjean (e del lettore), il modo in cui tutto ciò che accade assume una luce differente, poco alla volta, sgusciando dalle pieghe della fatica quotidiana.

In questo romanzo siamo chiamati in continuazione a confrontarci con la possibilità che sempre ci sia sempre un modo per vedere “oltre”. Valjean lo fa sull’onda dell’ispirazione trasmessagli dal Monsignor di Digne: dietro la volontà dell’uomo può nascondersi una più alta volontà. Non è una lettura semplicistica della vita e degli eventi, che voglia donare un senso a tutto ciò che viviamo. Hugo fa cadere nel fango i suoi personaggi, perché sa che in questo fango sta la possibilità di vedere. Qualcuno o qualcosa esiste sul serio e risponde alle nostre aspettative, anche se in modo molto diverso da come noi ci aspettiamo.

Questa è la pura esperienza di Dio; non un Dio che fa quello che diciamo noi, ma un Dio che ci dice, in poche parole: “se ti va bene è così. Se non ti va bene peggio per te, ma io continuo ad aspettarti”. È un Dio che, messo in questi termini, può fare paura: ma ancora una volta è il Dio che esperiamo.

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