Una piattaforma di plastica “bianco luce” ricopre il terreno di asettiche autorità su cui zampetta Blondi. Il suo incedere nel campo è marziale e bestiale insieme, non tanto e non solo per la frenesia di un cane fedele al suo Führer, ma perché l’ansia di distinguere tra cose belle e brutte definisce un linguaggio cromatico ed elementare, per pulsazioni e intervalli d’aria tra i finti filari d’erba incollati a una schiera di brande. Blondi non conosce la perversione, ma la incarna mentre ansima ed esplicita affannosamente le onomatopee che il mondo e il suo odore filtrano dagli occhi di una razza prona al padrone e all’illusione di possederne l’affetto ricambiato.
Si presenta, non si cela neanche per un secondo per volontà e bisogni, sente di dover correre come di arrestarsi dietro le sbarre o nell’angolo buio che abitualmente le è destinato anche da chi la osserva. Magari due officiali, due addetti al cambio scena e testimoni del divertimento di una cagna che risponde al richiamo della palla, alla gioia dei biscotti e all’asservimento malato di un frustino che esercita persino sulla sua impossibilità di lingua vera e propria la rabbia dell’ordine sterminatore.
La camicia di Blondi è bianca come il terreno e abbottonata fino al collo, i pantaloni neri da gerarca, gli anfibi e un taglio militare che ribatte ai simboli con una mescolanza di donna e cane mai sottintesa, ma ripetuta come l’effetto dell’erba sul pelo e la corsa verso casa. Là dove il Führer si diverte a farsi umiliare da Eva che lo perverte sessualmente fino alla resa di un piacere incapace di sovvertire del tutto i ruoli. Perché anche Eva piange di nascosto e i suoi singhiozzi assomigliano ai latrati di Blondi mentre sogna di trovarsi dall’altra parte del tavolo, quella di chi va su due zampe e sta sopra a dare calci a chi è inferiore per razza e miseria.
La scrittura scenica del monologo di Blondi si ascrive a un triplo specchio in cui l’autore, Massimo Sgorbani, sfida l’innamoramento dello spavento. Un concetto ripiegato in tre innamorate scelte tra le figure di Blondi, cane di Adolf Hitler, Eva Braun sua moglie e Magda Goebbels. Una partitura che si innerva tra i richiami dall’una all’altra rendendo faticoso sia l’estrinsecarli chirurgicamente, sia il renderne l’eco molteplice e aperto al rapporto perenne e arcaico tra schiavo e caput. Blondi è destinata a una fiala di cianuro che il padrone, la cosa apparentemente più bella del mondo, testa sulle sue carni provate dall’aver appena partorito cinque cuccioli. Una fiala destinata a se stesso, ma solo in seconda battuta.
Mirabile e già franto l’occhio ferino di Federica Fracassi mentre muove i fili della marionetta cane che mai si allontanerebbe da chi la fa passeggiare nella nebbia con gli immancabili stivali e frustino. La sua voce è amplificata da un microfono allungato ogni volta, i capelli chiari le si scuotono nei salti e nelle tane, inseguono con lei l’odore della pioggia e la paura del temporale, bagnano di sudore il suo corpo nudo e abusato.
Imparare è la legge di Blondi, una classifica di addestramenti infami, che da un lato scorrono le purezze esclusivamente animali e l’amore di chi scrive e le sa riplasmare in drammaturgia, dall’altro graffiano e disilludono con la morte inferta. Blondi contro Eva, Blondi nella gabbia di brande e finte culle dell’ambulatorio in cui viene fatta accoppiare con il maschio ariano, Blondi sterminata dopo milioni di ebrei sul binario che scoperchia la plastica e conduce all’ultimo filo spinato. Il padrone è sempre una macchia scura in agguato contro il “bianco luce” e i bombardamenti in forma di eliche-ventole al di là del bunker non tardano ad arrivare. Non bastano più i denti scoperti del Führer a salvare il cane prediletto coi suoi cuccioli estratti come matasse di lana dal materasso.
Blondi infine sa, riconosce il prima e il dopo, il sole e la nebbia. Avvicina il freddo e lo mastica come una pallina, ma la vittoria è di altri. Il respiro e il sapore di sangue buono non oltrepassano il muro e la ninna nanna non verrà mai ascoltata.
Piccolo Teatro Studio Expo
dal 22 al 28 marzo 2013
Blondi
di Massimo Sgorbani