Asia FilesLa morte del “fratello numero 3” paradigma delle difficoltà del Tribunale contro i Khmer rossi

All'età di 87 anni, Ieng Sary si è spento in un letto dell'ospedale dove era ricoverato per problemi gastro-intestinali dallo scorso 4 marzo. Con la morte dell'ex ministro degli Esteri della Kampuc...

All’età di 87 anni, Ieng Sary si è spento in un letto dell’ospedale dove era ricoverato per problemi gastro-intestinali dallo scorso 4 marzo. Con la morte dell’ex ministro degli Esteri della Kampuchea democratica se n’è andato uno degli imputati del processo per crimini di guerra contro il vertice del regime dei Khmer rossi.

Per il tribunale internazionale sostenuto dalle Nazioni Unite è l’ennesima tegola. E tra i commentatori si fa strada l’idea che i crimini dell’utopia egualitaria e rurale di Pol Pot e compagni, costata la vita ad almeno 1,7 milioni di cambogiani -tra stenti, esecuzioni sommarie, denutrizione- possano non trovare giustizia.

Negli anni Cinquanta a Parigi, Ieng Sary fu tra i fondatori del circolo marxista frequentato anche dall’allora ancora Saloth Sar che negli anni a seguire sarebbe diventato il “fratello numero 1” Pol Pot.

Come scrive Peter Fröberg Idling nel libro inchiesta Il sorriso di Pol Pot, raccontando gli anni di quella prima cellula nella capitale francese “Sono già tutti lì, quelli che sfileranno vittoriosi a Phnom Penh il 17 aprile 1975. Il leader scontato di quel primo periodo è l’energico Ieng Sary, quello che esorta i compagni a masturbarsi invece di sprecare con le donne il tempo che si deve dedicare interamente alla lotta”.

Le donne saranno anche il filo che legherà il “fratello numero 3” al leader “sorridente” della guerriglia maoista cambogiana. Ieng Sary e Pol Pot sono cognati, hanno sposato due sorelle. La moglie del primo, Ieng Thirith, già ministro degli Affari sociali del regime, era anche lei alla sbarra, dichiarata inadatta a continuare il processo per motivi di salute, pare soffra di una forma di Alzheimer.

Nel caso 002 restano imputati soltanto il “fratello numero 2” ed ideologo dei Khmer rossi, Nuon Chea, di 86 anni, e l’ex capo di Stato, Khieu Samphan, 81 anni. L’età degli imputati e lentezze di cui si è dimostrato capace il tribunale giustificano i dubbi.

Dall’istituzione nel 2006 è stato emesso un solo verdetto, la condanna all’ergastolo di Duch, direttore del famigerato carcere S-21 dove si stima abbiano trovato la morte 16mila prigionieri. Le indagini sui casi 003 e 004 sono invece bloccati anche per pressioni governative, molti di quelli che furono seguaci di Pol Pot in gioventù siedono ora nella macchina dello Stato, su tutti il premier Hun Sen.

All’indomani della morte di uno dei tre unici imputati è arrivata la notizia della fine dello sciopero dei traduttori, da tre mesi senza stipendio e indispensabili per i lavori che si svolgono in cambogiano, inglese e francese. La carenza, ormai endemica, di fondi è un altro degli ostacoli a funzionamento del Tribunale. C’è poi il capitolo delle interferenze politiche, con giudici e avvocati che hanno deciso di abbandonare

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