Il libro ritrovato. Consiglieri di pagineLe notti bianche di Dostoevskij

di Micaela Morini Mi sento molto vicina a Marina Cvetaeva; la scrittrice, nel bel racconto Il mio Puskin, ricorda il suo primo incontro con il teatro all'età di sei anni. Cvetaeva vide rappresentat...

di Micaela Morini

Mi sento molto vicina a Marina Cvetaeva; la scrittrice, nel bel racconto Il mio Puskin, ricorda il suo primo incontro con il teatro all’età di sei anni. Cvetaeva vide rappresentata la famosa scena dell’ Evgenij Onegin; io, alla Scala di Milano, La Boheme di Puccini.
Lei russa, io italiana, a ciascuno il suo!
In palcoscenico una panchina che per la Cvetaeva segna nell’opera il limitare tra amore e non amore.

Anche il romanzo breve Le notti bianche di Dovstoevskij è caretterizzato dalla presenza di una panchina, centro della scena dalle forti connotazioni teatrali. Visconti, il grande regista, nel 1957 ne ricaverà un film, Leone d’argento al Festival di Venezia.

Sullo sfondo di una Pietroburgo deserta e quasi magica si inserisce un intenso dialogo tra i due protagonisti: il sognatore e la giovane Nasten’ka. L’azione si concentra tutta dinnanzi alla ringhiera di un canale e poi su una panchina.
Protagonista delle notti bianche è la figura del sognatore.
Leggiamo le parole di Dostoevskij che nella sua Cronaca di Pietroburgo ne descrive la tipologia:

Sono cupi e taciturni con il loro prossimo, sprofondati in se stessi, ma amano molto
tutto ciò che è lento, leggero, contemplativo, tutto ciò che agisce dolcemente sul
sentimento o risveglio delle sensazioni.
Amano leggere, leggere ogni sorta di libri, anche seri, specialistici, ma, di solito,
dopo la seconda o terza pagina, abbandonano la lettura perché già pienamente soddisfatti.
La loro fantasia, mobile, leggera e volatile, è già risvegliata, l’impressione è già scattata, e tutto un mondo fantastico, con gioie, dolori, inferno e paradiso, con donne seducenti, imprese eroiche, con una nobile attività, sempre con qualche
gigantesca lotta, con delitti e orrori d’ogni sorta, s’impadronisce all’improvviso di
tutto l’essere del nostro sognatore.

Il racconto si apre con la descrizione, fatta in prima persona, del sognatore, di Pietroburgo in primavera, nel momento in cui la natura si risveglia e tutti gli abitanti se ne vanno nelle loro case in campagna.
Il sognatore resta solo in città, senza amici, senza conoscenti, non è riuscito a crearsi nessun legame. Egli sembra poter instaurare rapporti solo con i palazzi della città e noi lettori camminiamo con lui tra le strade di Pietroburgo.
Solo un miracolo, un’avventura inaspettata, gli permetterà di distogliersi dal suo dialogo con le cose per rivolgere la parola a una ragazza, Nasten’ka, che gli appare improvvisamente su un ponte della città. Per la prima volta il protagonista riesce a stabilire un contatto autentico tra sé e un altro essere umano e si rende conto, dolorosamente, di quello che ha perduto, della differenza tra la realtà e la sua misera vita, tutta chiusa in un mondo immaginario.
Quattro notti di illusioni, di compassione e poi d’amore, un amore ideale, superiore, un amore come lo sentiva Dostoevskij.
E alla fine tutto crolla, i sogni svaniscono e l’ultimo episodio s’intitola, significativamente, Mattino.

Quasi a dire che la bellezza e il fascino delle notti era ingannevole ed il risveglio è spesso una delusione.

Ancora una volta Dostoevskij indaga sul mistero dell’animo umano, alla ricerca di una soluzione per l’enigma che si nasconde nel profondo di ogni essere.

Per questo motivo Dostoieskij è speciale.
Ecco cosa scrive l’autore in Lettere sulla creatività:

L’uomo è un mistero.
Un mistero che bisogna risolvere, e se trascorrerai tutta la vita cercando di risolverlo, non dire che hai perso tempo; io studio questo mistero perché voglio
essere un uomo.

Ecco perché, sul comodino, accanto al letto, dobbiamo avere sempre, a portata di mano, un suo libro.