di Fabrizio Valenza
Nel 1968 usciva il nuovo disco dei Pink Floyd, A Saucerful of Secrets, il cui titolo deriva da uno dei brani più belli dell’Lp. A Saucerful of Secrets è musica a programma, come si direbbe per certa musica classica (alla quale, secondo me, il pezzo può essere tranquillamente accostato per l’intento e l’approccio), ma, la musica a programma, io amo liberarla da questo vincolo e interpretarla secondo ciò che mi dicono le orecchie, i sensi e il cuore.
Ho sempre ascoltato quel brano immaginando una penetrazione progressiva, profonda e quasi iniziatica nel grande mistero della vita e dell’esistenza, un cammino intellettuale che per forza di cose deve seguire e precedere quello dell’esperienza personale, punto di partenza per ogni conoscenza.
Ad accompagnare questa mia interpretazione è stato probabilmente il titolo, che ha prodotto subito un collegamento quasi automatico tra segreto e… mistero. Ciò che è segreto (in lat. secretum) è separato, come ci dice quel gruppo di lettere, “scr”, comune all’altro lemma latino sacer, separato quasi per una sorta di sacralità da rispettare. È ciò che è separato perché deve esserlo, così da mantenere quella alternativa rispetto a quanto viviamo, ma anche quella meta e quella prospettiva da sempre attiva dentro di noi, nelle nostre aspirazioni, nelle nostre speranze.
Segreto e mistero vanno sempre di pari passo.
Oggi abbiamo separato il concetto di segretezza da quello di onestà. Non esiste più segreto che possa essere onesto e non appena qualcuno ci parla di un segreto, il pensiero – anche questo automatico – è che qualcuno voglia nasconderci qualcosa, perché quel qualcosa è losco, sporco, intrallazzato, a scapito degli altri.
Oggi, inoltre, abbiamo separato il concetto di mistero da quello di realtà. Il mistero è cosa di religioni, è fatto della narrazione e non di ciò che è. Se parliamo di mistero, lo facciamo perché siamo dei sognatori che stanno pensando a un mondo che non c’è, a un qualcosa che è attualmente escluso ai nostri occhi e alle nostre menti. Il dizionario Treccani ne dà questa spiegazione: Tutto ciò che non si può intendere, penetrare o spiegare chiaramente, e che appunto per questo attrae o esercita un certo fascino.
Per quanto mi riguarda, i significati che ho appena presentato per entrambi i termini sono scorretti, parziali, non si riferiscono al tutto in cui ci troviamo sempre a vivere. Sono soprattutto frutto di un tempo davvero corrotto. La corruzione materiale del nostro Paese arriva fin nel linguaggio col quale ci esprimiamo, a inficiare talvolta le possibilità che il futuro ci riserva.
Vorrei leggere le due parole alla luce di quel che l’Italia di oggi cerca ma non trova.
Sono convinto che l’Italia di questi nostri giorni sia immersa nel mistero. Chi di noi può dire di aver compreso completamente ciò che sta accadendo? Chi di noi può affermare con sicurezza di sapere com’è fatta l’Italia, come sono fatti gli Italiani, che cosa pensano, che cosa decideranno, che cosa saranno in grado di fare non appena gli si concederà la possibilità di realizzare quanto è nei loro cuori e nelle loro menti? Di più: che cosa saranno in grado di fare pur nella privazione forzata dei mezzi?
Il mistero del nostro futuro è tale, che i cambiamenti che a noi sembrano ancora piccoli possono essere già riferimento intimo a un’Italia diversa, finalmente nuova. Duecento anni fa, pare, anche l’Inghilterra si trovava esattamente nella nostra condizione. Certo, il mistero non è categoria per durate brevi, è un qualcosa di lungo; si svela negli anni, nel tempo di un’intera vita.
Forse la bontà che agogniamo per la nostra Italia e per gli Italiani è nascosta nel segreto della vita di ognuno di noi, e solo ciò che siamo disposti a fare personalmente sarà in grado di concretizzare quel mistero di splendore e gloria che, ne sono convinto, ancora una volta attende la nostra Penisola, per farla ritornare quella di sempre. E il sempre allunga le sue mani ben oltre la portata di pochi decenni. Stiamo vivendo un mistero. A ognuno di noi il compito di essere i suoi segreti agenti.