di Micaela Morini
Le favole, i canti, le leggende, le cerimonie, i costumi si presentano allo studioso con una loro unità che non è possibile spezzare.
È vero che un tema, quale rivive in una favola, in una leggenda o in un canto, passando attraverso la fantasia e il sentimento, diventa fantastico o poetico. Sta di fatto, però, che se una favola, una leggenda, un canto non sono per noi che dei testi poetici, per il popolo sono anche parte viva della sua storia.
Tutte le tradizioni popolari trovano nel popolo che le elabora una piena libertà. Il popolo si sente, in fondo, depositario di una verità.
La storia di Verona è un campo dove la leggenda cresce rigogliosa e può essere che qualche storia sia leggenda e, anche più spesso, che qualche leggenda sia storia.
In città c’era un Vescovo molto severo: quante cose si raccontavano in città e nelle campagne di quel sant’uomo, ottavo vescovo, che negli ultimi anni della sua vita aveva compiuto l’opera dei suoi predecessori e condotto Verona al battesimo.
Era stato un monaco di un piccolo monastero fuori le mura e passava molto del suo tempo a pescare sulle rive dell’Adige, il fiume della città.
Aveva sempre intorno un gruppo di ragazzi, attirati dal suo buon umore, dalle sue favole e dal misterioso lavoro dell’amo nell’acqua.
Qualcuno disse al sorridente pescatore che avrebbe impiegato meglio il suo tempo a farsi pescatore di uomini; proprio quel giorno egli pescò un uomo, il cadavere di un povero annegato, lo trasse a riva e lo resuscitò.
Il Diavolo allora se ne ebbe a male e scatenò addosso al Vescovo una coppia di buoi impazziti, aggiogati ad un carro su cui stava, quasi morto di paura, un uomo.
Il pescatore sorridente fermò, senza voltarsi, i buoi alle sue spalle. Il nemico scornato fuggì lontano, lungo l’Adige, verso i monti e la’ entrò nel tenero corpo di una principessa.
Il pescatore accorse e liberò l’ossessa: il figlio di un figlio della principessa avrebbe poi eretta, sulle spoglie del pescatore vescovo, la sua prima chiesa a Verona.
Il diavolo allora tentò l’ultimo colpo: staccò un masso enorme da un monte in Val Borago (il buco c’è ancora, è a cinque chilometri a nord di Verona) e lo lanciò sulla riva del fiume.
Il sorridente pescatore, per castigarlo, lo costrinse a portargli d’un fiato, da Roma a Verona, quella gigantesca vasca di porfido che ognuno può vedere, a sinistra, entrando, nella Basilica di San Zeno a Verona.
Il folklore, insomma, convoglia nel tempo ciò che è fuori del tempo, in una civiltà presente ciò che è delle civiltà lontane.
È una nuova concezione del mondo che accompagna l’uomo nel mistero della nascita, in quello della morte, nei suoi sogni, nei suoi desideri, nella perenne lotta fra il bene e il male.