di Micaela Morini
10 Agosto 1913: all’Arena di Verona accade un fatto destinato a diventare tradizione e mito.
Per la prima volta al mondo si rappresenta, all’aperto, in un anfiteatro romano, un’opera lirica davanti a decine di migliaia di spettatori.
100 anni sono trascorsi da quel lontano giugno 1913.
Giovanni Zenatello, grande tenore veronese, sua figlia Nina, il direttore d’orchestra Tullio Serafin, Ferruccio Cusinati, Ottone Rovati e la cantante Maria Gay sono seduti a un tavolino del Lowenbrau, di fronte all’Arena e naturalmente parlano di musica.
Zenatello è appena tornato da una felice tournée al Metropolitan di New York dove ha riscosso un enorme successo, interpretando in maniera magistrale l’Aida di Verdi. Racconta la figlia del tenore Nina Zenatello Consolato:
Mio padre era seduto a un tavolino del Lowenbrau con i suoi amici musicisti e parlavano di musica, di opera lirica e di Giuseppe Verdi.
A un tratto mio padre addita l’Arena e con accento di trionfo dice: Ecco, questo è il teatro che io cerco. Qui si potrebbero fare delle rappresentazioni uniche al mondo. Il problema è quello dell’acustica. Si sentirà l’orchestra? E la voce non si perderà in tanto spazio? Tutto il resto c’è e quello che manca si costruisce.
Il gruppo decide di entrare nell’anfiteatro: Zenatello sale fino al podio che guarda l’ingresso e che ora sovrasta il palcoscenico, gli altri salgono dalla parte opposta, per verificare l’acustica. Zenatello intona “Celeste Aida” e la sua voce risuona nell’aria. Si sente. Si può fare.
Siamo a giugno, c’è poco tempo per organizzare tutto: l’orchestra, il coro, i cantanti, la scenografia,
l’opera.
Si sceglie Aida perché è una grande opera perfettamente in sintonia con la colossale architettura dell’Arena. E’ un ambizioso tentativo, uno staff e un’organizzazione incredibile.
E’ sempre la figlia di Zenatello che ci racconta:
Mio padre finanziò l’impresa. Tullio Serafin si diede da fare per scegliere gli interpreti e per formare l’orchestra. Ferruccio Cusinati pensò alle masse e ai cori. Ad Ottone Rovato fu
affidato il compito di impresario. Per la scenografia venne scelto un altro amico
Ettore Fagiuoli.
Così un manipolo di amici in un mese e mezzo fece nascere uno spettacolo grandioso.
Lo spettacolo doveva dare l’idea del grandioso, del mai visto prima, del colossale:
120 professori d’orchestra, 180 coristi d’ambo i sessi, 36 ballerine, 40 ragazzi, 280 comparse, 50 corifee, 12 trombettieri, banda sul palcoscenico, trombe egiziane, 30 cavalli,
buoi.
Sfatiamo un mito: niente cammelli, dromedari, pantere ed elefanti come qualcuno, pieno d’entusiasmo e di enfasi, scrisse sui giornali dell’epoca.
Grandiosa creazione di Ettore Fagiuoli: la scenografia; in parte fissa e in parte mobile, una gigantesca macchina che stupì lo spettatore. La parte fissa formata da due enormi sfingi e da due obelischi che venivano collocati ai lati del boccascena e il grande portale di fondo.
L’atmosfera di un paese lontano era già magicamente creata.
Furono proprio le luci, insieme alla musica di Verdi, al canto e alla scenografia del Fagiuoli, così intelligentemente inventate e capaci di stimolare l’idea di un Egitto immaginato e sognato da tutti, le ragioni più profonde di un successo che andò al di là di ogni più ottimistica previsione.
Scrissero i giornali dell’epoca:
Aida trionfa e non solo Radames!
Francamente siamo convinti che mai si sia raggiunta, in nessun teatro al mondo, la meravigliosa potenza d’effetti che ottenne iersera nella nostra Arena: la magnificenza
fantasmagorica di questo celebre quadro (il trionfo) dalla sfilata del colossale corteo del Re
(su una biga a quattro cavalli) comprendente circa 800 persone, alle danze elegantissime del corpo di ballo, all’ingresso veramente superbo di Radames su una portantina retta da
dodici schiavi.
Sono passati cento anni e l’esperimento Zenatello continua, Verona continua ad ospitare gli appassionati d’opera ed è bello vedere lunghe file di persone ai cancelli aspettare per condividere quella stessa magia.