Un ciellino comandante in capo. Perché? Si è parlato poco di Mario Mauro nuovo ministro della difesa. Forse perché erano altre le priorità. Chi vi ha fatto caso, è rimasto imbrigliato negli schemi ideologici. Il fatto che un discepolo di don Giussani sia alla guida di palazzo Baracchini può essere spiegato in due maniere. O come ha scritto Il Fatto quotidiano, e cioè dicendo che agli affaristi di Cl va bene tutto purché si guadagni, oppure sospettando che al governo Letta della Difesa interessi poco.
Mario Mauro in effetti ha alle spalle un curriculum che nulla ha che fare con i militari. Laureato in filosofia alla Cattolica di Milano, si è poi speso politicamente nell’ambito di religioni, minoranze e via così. Insomma, non ha quella competenza che si converrebbe per un dicastero così tecnico. «Nemmeno La Russa ce l’aveva», replicano molti. È vero. In realtà, escluso Di Paola che era del mestiere, pochi sono stati i ministri della difesa dotati delle skill necessarie per gestire le Forze armate. Martino era un economista. Parisi è ricordato con piacere, ma solo perché ex allievo della Nunziatella. Il suo mandato poi è stato troppo breve perché lasciasse un segno importante.
In ogni caso, Mauro sembra una scelta di basso tono. Se è così, è fortunato ad avere a fianco una Roberta Pinotti, sua sottosegretario, che vanta un po’ di esperienza in materia. Questo allora potrebbe suggerire che saranno i vice a comandare.
Una fortuna fino a un certo punto però. Perché tra i ranghi militari e gli analisti le smorfie di perplessità e quelle di preoccupazione non si contato. Mauro, Pinotti o Gioacchino Alfano che sia, l’altro sottosegretario, è la politica a dover rispondere ad alcuni interrogativi sul futuro delle Forze armate italiane. Interrogativi che vengono da fuori – l’opinione pubblica che, apparentemente aizzata dai media, vorrebbe un taglio delle spese militari – e interrogativi avanzati dalle truppe. Nel credo popolare, il soldato tace e obbedisce. In realtà, parla. Anche se a mezza voce.
Se un ministro è pallido è perché non lo si vuole rendere brillante. Quella del Fatto per cui, controllando la Difesa, Cl può fare soldi – e così compensare la batosta subita in Lombardia dopo la resa di Formigoni – è una tesi debole. I cattolici gli affari li fanno altrove. Non con gli F-35.
Allora è da supporre che il comparto verrà gestito direttamente dai militari. Generali e ammiragli: quindi tecnici direttamente coinvolti e personalmente interessati. Può essere un bene. Ammesso che la loro vision, politica non solo strategica, sia condivisa da Palazzo Chigi.
Con Monti prima e con Letta oggi, infatti, non è mistero che si voglia andare avanti con lo spending review: due parole che fanno tremare tutti i fedeli servitori dello Stato.
Alle polemiche quindi, vedi quella dell’Espresso, stanno seguendo previsioni poco ottimistiche. Si pensa che gli F-35 ce li piglieremo sì, ma a singhiozzo. Un po’ com’era stato fatto con i Mangusta ai tempi di Spadolini. Approfittando delle continue difficoltà tecniche, l’Italia arriverà ad acquistare un numero irrisorio di velivoli. Tant’è vero che si è già passati dai 131 inizialmente ordinati agli attuali 90. Succederà lo stesso con il personale? Scenari ancora più negativi presentano un’operazione di smantellamento pesante dell’apparato difesa. Perché costa e non è spendibile a livello elettorale. Importa poco o nulla se poi sono i militari a fare da traino alla politica estera italiana in Libano, Afghanistan o altrove. Quello che conta è fingere di essere pacifisti, perché “pacifisti è bello”.
L’ottimismo è ai minimi termini, quindi. E circoscritto alle singole armi. C’è chi dice che sia arrivato il momento di gloria per la Marina. Ora che il Capo di stato maggiore della difesa è l’ammiraglio Binelli Mantelli, e sulla scia di Di Paola, saranno le uniformi blu a prevalere. Non è detto.
Il generale Graziano, alla guida di Sme, è un osso duro da spolpare. Sia perché è giovane, rispetto ai suoi parigrado nell’esercito, sia perché un tipo caratterialmente tosto. Alpino con brevetto da paracadutista. Praticamente un marmo alla seconda. A Graziano si aggiungono il generale Cornacchione (anche lui penna nera), ex comandante del Coi e ora consigliere militare alla presidenza del consiglio, ma soprattutto il generale Battisti. Quest’ultimo è il comandante dell’Nrdc-Ita, praticamente il braccio operativo della Nato in Italia. Battisti attualmente è a Kabul a fare da capo di stato maggiore di Isaf. Un incarico che richiede l’implicito ok degli Usa. E Washington di solito non è generosa nel regalare i placet. Segno che l’Nrdc e il suo comandante sanno il fatto loro.
Ultimo, perché più importante tra i generali di potere, è Rolando Mosca Moschini, inamovibile e confermato consigliere militare del Quirinale. Se è vero che sul Colle si sta concentrando la regia del Paese, allora in Mosca Moschini le Forze armate hanno un santo protettore.
«Non ci resta che pregare», concludono comunque i pessimisti. Attività in cui un tesserato Cl potrebbe dare un contributo di sostanza. Lo si spera. Se non altro per quei due marò di cui non parla più nessuno.
Twitter: @PicassoAntonio