Macchè destino da allenatore. O voglia di alzare ancora la coppa con le grandi orecchie, imitando il suo amico Carlo Ancelotti (vincitore sia in campo sia in panchina). O ancora il narcisismo di tornare protagonista – ce l’ha nel DNA – in Italia dopo la parentesi brasiliana, non esaltante tra l’altro. Clarence Seedorf desidera il posto a Milanello per occuparsi nel tempo libero dei suoi ristoranti di successo: segnare le prenotazioni sull’agenda, ricevere i clienti (in particolare, le signore che lo trovano irresistibile), prendere le comande e magari dare pure una mano al banco del sushi.
Scherziamo naturalmente, “Clarenzio” è socio di Roberto Okabe – guru brasiliano di origine nipponica – del Finger’s e del Finger’s Garden, due locali tra i più ricercati per la cucina giapponese creativa: suggestivi (il secondo ha anche uno splendido giardino zen), raffinati e ben frequentati. Non alla portata economica di tutti ma nel giro “giusto” il ticket sui 100 euro a testa qui si paga volentieri. E poi, realmente, la brigata di Okabe è bravissima nella fantasia e nella tecnica dei piatti, quasi sempre mix in apparenza irrisolvibili ma in realtà centrati per gusto e presentazione. Gioiellini come il Maguro fry. – carpaccio di tonno saltato con pane grattugiato e salsa di gazpacho – o l’Ikasumi ume, risotto al nero di seppia con parmigiano mantecato alla prugna giapponese. O ancora il già famoso Taiyo & Luna (dedicato ai due figli) che consiste in pezzi di scaloppa di capesanta cruda con crema di formaggio e porri fritti per non parlare del geniale Nido, involtino di avocado e cream cheese avvolto in pasta kataifi, tartare e salsa rosa.
Per la cronaca, agli amici intimi, il buon Okabe aveva annunciato già nello scorso inverno che il suo socio (“ideale: mi ha sempre dato carta bianca, l’importante è che tornino i conti…” dice sempre) sarebbe tornato a Milano dopo la fine del suo impegno con il Botafogo. E non per certo per una saudade al contrario. E se il quesito per i milanisti tutti è “sarà capace di fare l’allenatore, almeno meglio del buon Allegri?” – e sapere che sta studiando per corrispondenza, non contribuisce a sonni tranquilli – quello per i milanisti gourmet è ancora più drammatico “ma se diventa il riferimento di Silvio, non è che da Giannino non va più nessuno?”. Ridete, ridete. Nell’era Galliani (pardon, Berlusconi) , il ristorante di Via Vittor Pisani – o meglio la Sala Rossonera, modello privè – è diventato anno dopo anno la sede di rappresentanza dell’A.C.Milan: trattative notturne, lunghissime cene post-partita, pranzi offerti ai dirigenti delle altre squadre. Officiante il brillante patron Lorenzo Tonetti – quel giovanotto con gli occhiali che in trasferta è presenza fissa al fianco dell’a.d. rossonero in tribuna– ospita anche i debutti in società dei neo-milanisti (esempio recente: quello di Supermario Balotelli) con tanto di ultras sgolanti e telecamere di Sky sul marciapiede antistante.
Insomma, Giannino – al di là della storica insegna che però si trovava in Via Sciesa – più che un ristorante di buona cucina italiana è il simbolo del caro vecchio Milan, i due locali di Seedorf potrebbero diventarlo del Milan 2.0, rampante e ancora più (multi)etnico, che – per la cronaca – cambierà presto sede da Via Turati al Portello. Su Clarenzio in panchina si sta giocando un bel match interno tra favorevoli e contrari, con Galliani a rischiare non poco del suo mitico potere. Anche gastronomico.