Avrebbe dovuto far svoltare il centrosinistra in Sicilia. Erano perfino d’accordo Rosario Crocetta e Pier Luigi Bersani. Il “Megafono“, movimento politico ideato e fondato dal governatore della regione Sicilia, era stimato in doppia cifra alle politiche del 2013. «Siamo intorno al 10%», ripetevano ad oltranza dall’inner circle del governatore. Addirittura dal Nazareno, sede nazionale del Pd, si sbilanciavano: «Altro che 61 a zero, questa volta la Sicilia sarà nostra». Del resto lasciava ben sperare l’affermazione de “il Megafono” alle regionali del 2012 (6,5%). E non importava che il Megafono togliesse consensi e tesserati ai democratici.
Tutto lecito pur di consegnare il «governo del cambiamento» guidato da Pier Luigi Bersani al popolo del centrosinistra. In sostanza il governatore della regione «più sprecona d’Italia» aveva carta bianca. Poteva cooptare ex lombardiani (dove per lombardiani si intende fedelissimi di Raffaele Lombardo), ammiccare ex pdiellini, e, sopratutto, attaccare i vertici regionali del Pd. Compreso il segretario regionale Giuseppe Lupo, che restava in silenzio. Tutto lecito.
Tuttavia l’operazione “Megafono“ non funziona. Perché il movimento a trazione crocettiana si ferma al 6,5%, così come alle regionali, e non consente di conquistare il premio di maggioranza al Senato al centrosinistra.
E allora la storia cambia. Bersani scarica Crocetta. E oggi i vertici regionali del Pd pongono la seguente questione: «Il Megafono è un soggetto politico importante del centrosinistra siciliano, certamente complementare, ma distinto dal PD. Per tale ragione, poiché nello Statuto non è contemplata la possibilità di una doppia tessera, chi è iscritto, milita o sostiene Megafono, non può chiedere l’iscrizione al Pd».
Tutto giusto. Ma la domanda sorge spontanea: come mai i vertici regionali e anche quelli nazionali di Largo del Nazareno si accorgono soltanto oggi dell’operazione “Megafono“?
Twitter: @GiuseppeFalci