“U mari nun si spirtusa”. Il mare non si buca né si trivella, gridavano furiosi, la scorsa estate, gli attivisti di Greenpeace nel tour siciliano organizzato proprio per protestare contro le trivellazioni a largo delle isole Egadi e della costa iblea. Luglio era agli sgoccioli, il sole sempre alto e si aspettava che il Senato modificasse la legge, già approvata dalla Camera, di conversione del “Decreto Sviluppo”, fortemente voluto dall’allora Ministro dello Sviluppo Economico,Corrado Passera.
Sebbene per la prima volta una norma di legge disciplinasse la zona di ricerca e trivellazione, imponendo alle multinazionali dell’oro nero di perforare solo oltre le 12 miglia dalla costa, all’art. 35 il decreto legge in esame contestualmente operava sanatoria per tutte le trivellazioni off-shore già in essere. Infatti, se da una parte il Governo irrigidiva le regole previste dal “decreto Prestigiacomo” sulle trivellazioni in mare aperto, portando la distanza utile alle attività estrattive da 5 a 12 miglia, anche per le aree marine non protette; dall’altra, sanava tutte le richieste di prospezione sismica, ricerca ed estrazione in mare di petrolio e gas, avanzati dalle compagnie prima della data di entrata in vigore del decreto stesso. Venivano convalidate tutte, proprio tutte: anche le richieste di trivellazione al di sotto delle 5 miglia di costa, dal momento che le disposizione firmate dall’allora Ministro dell’Ambiente del governo Berlusconi, Stefania Prestigiacomo, nulla vietavano o limitavano nelle aree marine non protette.
Un interesse noto quello del Ministro Passera per la ricerca energetica, che non tarda a soddisfare neanche negli ultimi colpi di coda e di vita del dimissionario esecutivo Monti.
La corsa all’oro nel Canale di Sicilia è inarrestabile – E’ il 27 dicembre 2012, a governo ormai in carica solo per l’ordinaria amministrazione e gli affari correnti, che il Ministro Passera emette un decreto, dal contenuto rilevante, ma che per i più in un primo tempo passa inosservato. Almeno per tutti coloro, non addetti ai lavori, che non hanno avuto la perizia maniacale e la prontezza di sfogliare le pagine del ‘Bollettino Ufficiale degli Idrocarburi e delle Georisorse’, pubblicato ogni mese a cura del dicastero di Via del Molise.
Il decreto ministeriale, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.60 del 12 Marzo 2013, reca già nel titolo l’oggetto della vexata quaestio: “Ampliamento della zona «C», aperta alla ricerca e alla coltivazione degli idrocarburi in mare”.
Con la denominazione di “zona C”, nelle carte delle zone marine, si intende uno dei più importanti e strategici bracci di mare del paese: il Canale di Sicilia. Una lunga zona di mare che si allunga dalle Isole Egadi fino al Mar Ionio passando per Mazara del Vallo – ove è di stanza la flotta peschereccia più grande d’Italia – passando per Selinunte e Pantelleria.
L’ampliamento della Zona C, come indicato nel Bollettino del Ministero dello Sviluppio Economico
Ebbene, nelle intenzioni del Ministro, l’estensione della zona risulta essere talmente dilatata, che ha beneficiato di una identificazione propria: Zona Marina C – Settore Sud. Allo stato, è il più grande ampliamento di una zona marina concedibile per attività petrolifera che le nostre acque abbiano mai subìto.
Al di là delle gravi conseguenze ambientali dovute all’aumento della trivellazioni in una delle zone più sismiche d’Europa, la questione appare problematica anche per le relazioni internazionali con i paesi vicini.
A pochi chilometri dalle coste siciliane, c’è Malta, che in quanto a voglia di trivellare non ha nulla da inviare all’Italia. La piccola isola dei Cavalieri, sebbene le modeste dimensioni, ha a disposizione una zona vastissima di mare territoriale, che ha già opportunamente suddiviso in vista delle concessioni di ricerca petrolifera future. Talmente vasta che coincide con le estensioni meridionali dell’Area C come ridisegnata da Passera. E non solo piccole porzioni sembrano coincidere perfettamente, ma interi blocchi del mare di Malta verrebbero, secondo le disposizione del M.S.E., fagocitati dall’ampliamento italiano.
Le acque territoriali maltesi già suddivise e destinate alla ricerca di idrocarburiLe acque territoriali di Malta, già frazionate e destinate alla ricerca di idrocarburi
Un errore grossolano, che potrebbe aprire foschi scenari nelle relazioni internazionali tra i due paesi, che non sembrano essere intenzionati a cedere terreno, o meglio spazio, all’avversario nella spartizione del Canale di Sicilia.
Dal settembre scorso il Ministero ha avviato con la delegazione maltese un tavolo congiunto di trattativa, ancora ben lontano da una soluzione condivisa. Certo è che l’Italia non vuole rinunciare alle ricche royalties derivanti dall’attività estrattiva, né cedere alle rivendicazioni di sovranità territoriale della piccola isola su bracci di mare che considera propri.
Ancora insoluta appare, inoltre, una questione giuridica pregiudiziale alle disposizione di allargamento dettate dal Ministero. L’estensione del mare territoriale di una nazione è senza dubbio un atto di politica estera, regolato dal diritto internazionale e dalla Convenzione di Montego Bay del 1984. Da quando tra le attribuzioni del Ministero dello Sviluppo economico rientra la competenza di porre atti di politica estera? E come poteva, d’altronde, un governo in carica per gli affari correnti e l’ordinaria amministrazione – il presidente Monti l’11 dicembre si è recato al Quirinale per consegnare le dimissioni – procedere ad un’operazione simile, che proprio corrente non è?
La sovrapposizione della acque territoriali di Italia e Malta (greenstyle.it)
Intanto, nelle more della trattativa con il governo maltese, già prima della pubblicazione del decreto ministeriale, le compagnie interessate al Canale di Sicilia avevano già depositato 29 richieste di trivellazione in mare, quasi la metà delle concessioni dell’intera penisola, 11 delle quali risultavano già approvate prima di marzo.
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