nella foto di Marco Caselli Nirmal i protagonisti di Pinocchio
Andateci. Fate del bene alla vostra anima. Andate a vedere fino a domenica a Milano al teatro dell’Elfo Pinocchio. Uscirete che starete bene. Avrete riso e pianto. Vi sarete “innamorati” di Paolo, Gigi e Riccardo. Li ringrazierete per l’ora che vi avranno fatto trascorrere.
Ne vale il prezzo del biglietto e, in tempi di crisi e di pessimismo generale, il senso del messaggio che vogliono trasmettere: che non ci si arrende alle sventure e alle difficoltà, che si può tornare a vivere anche dopo un trauma come un incidente stradale, che si possono recuperare pezzi delle proprie funzioni vitali anche dopo il coma. Che si può volere amare. Ballare. Che si può volare.
Prodotto da Babilonia teatri (premio Ubu 2011) e Casa dei risvegli Luca de Nigris, struttura bolognese per la riabilitazione post coma, Pinocchio, questo Pinocchio, ha tutta la dignità, il livello e la precisione del migliore teatro di avanguardia. Perché è teatro di avanguardia. Non c’é pietismo, non c’é monopolio del dolore, quei classici atteggiamenti di testimonianza di certi ambienti della sofferenza alla adesso ve lo spieghiamo noi come si fa. No.
C’è una splendida e incredibile ironia, autoironia. C’é la poesia nei movimenti fatti in quel modo scomposto che ha chi è rimasto sulla terra e ha una grave disabilità.
Li guardi questi tre uomini che stanno sul palco, quasi nudi nel loro non costume di scena e capisci quanto è duro confrontarsi con loro. Poi però pensi a uno dei “guru” della Casa dei risvegli, Alessandro Bergonzoni, “amico di Luca” della prima ora, da quando Luca era sulla terra degli uomini ed era un ragazzino che avrebbe voluto vivere, ma ora che non c’é piu’ vive in questa magnifica utopia messa in piedi da suo padre e da tutta la “banda” rigorosa, seria e utopica, appunto, che in questi quindici anni ha saputo mettere in piedi.
Pensi a Bergonzoni e al suo “siamo tutti comabili” e ti rendi conto che non c’é un noi e un loro tra te e chi sta sul palco. C’é un noi.