Big Food28 posti, cucina e sociale a braccetto

Di cene benefiche e rassegne di cuochi a favore di onlus se ne contano decine, detto tra noi non fanno più notizia. Invece merita attenzione il concept che ha portato alla nascita del 28 posti. E’ ...

Di cene benefiche e rassegne di cuochi a favore di onlus se ne contano decine, detto tra noi non fanno più notizia. Invece merita attenzione il concept che ha portato alla nascita del 28 posti. E’ un piccolo ristorante – nomen omen – in via Corsico, praticamente a 50 metri dal Naviglio Grande, che ha aperto i battenti durante la Settimana del Mobile. La bella idea è figlia dell’entusiasmo di Caterina Malerba, chef originaria di Pizzo Calabro che dopo l’esperienza nella sua cittadina, voleva aprire a Milano un locale per proporre le sue ricette speciali ispirate alla cucina tradizionale, sperimentate e perfezionate in circa vent’anni di lavoro e caratterizzate dall’uso di materia prima scelta, ittica in particolare. Affiancata dal marito, ha trovato in Gaetano Berni e Silvia Orazi, due entusiasti compagni di avventura, che da tempo coccolavano l’idea di avviare un’attività nel campo della ristorazione. L’ex Karaoke Canta Milano, abbandonato da anni, ha convinto tutti e così è partito il progetto, che ha coinvolto fin da subito il designer Francesco Faccin e l’architetto Maria Luisa Daglia, progettista della parte architettonica con lo stesso Gaetano Berni.

La Orazi e Berni sono tra i fondatori dell’ONG Liveinslums impegnata in diverse parti del mondo con progetti di riqualificazione ambientale e sociale ad ampio spettro: dall’eco turismo, all’agraria, dall’architettura al riciclo, dalla didattica alle mostre e conferenze. “L’esigenza di legare anche questa nuova iniziativa a un’attività socialmente utile è venuta quindi spontanea – spiega Silvia Orazi – così ci siamo inseriti nei programmi dell’Istituto Penitenziario di Bollate e ci siamo resi conto che la prima cosa da fare era costruire all’interno una falegnameria per realizzare gli arredi fissi e mobili con alcuni detenuti e poi abbiamo pensato di offrire la possibilità, a quanti soggetti all’Articolo 21, di lavorare alla ristrutturazione del ristorante. La squadra si è presto formata con otto apprendisti falegnami e tre operai e manovali. Qualcun altro lavorerà anche al ristorante. Ora che il lavoro è finito, bisognerà pensare a come proseguire, vorremmo sviluppare una produzione per un catalogo ad hoc.” Il laboratorio è stato messo su da Faccin che ha coinvolto un noto personaggio del design, in pensione: Giuseppe Filippini, storico collaboratore di Michele De Lucchi e per anni capo laboratorio di Artemide. “Il suo contributo è stato fondamentale – racconta il designer – perché non tutti avevano esperienza in questo campo, ma in questi tre mesi tutti hanno imparato i primi rudimenti del mestiere. Abbiamo utilizzato legno di qualità, pur se di scarto o di pezzi non interessanti dal punto di vista commerciale ma nulla ha l’aspetto di recupero. E costruito tutto noi, dalle armadiature ai tavoli. Tranne le sedie, che sono le mie Pelleossa, di Miniforms, adattate con una finitura di tessuto e non di pelle. E le lampade, di un caro amico designer Alvaro Catalán de Ocón, sono frutto di una collaborazione con gli Indios colombiani che hanno intrecciato delle fibre naturali colorate su bottiglie di vetro”.

Il risultato, in una città dove tanti locali sono fotocopia, è stato centrato: gli interni hanno tonalità naturali decisamente rilassanti, i legni chiari e grezzi, il grigio del cemento e del pavimento ed il bianco dei muri si mescolano creando un ambiente pieno di stile e dettagli. La vera anima del progetto è ovviamente la cucina, a cui gli ospiti potranno accedere tramite il passaggio all’ingresso e visibile anche dall’esterno del locale. A proposito di cucina, è evidente che il design e l’attenzione al sociale non sarebbero sufficienti a raccogliere i favori dei gourmet: in una piazza dove il pesce è gioia (poca) e dolore (sovente) per chi lo apprezza, il menu di Caterina stupisce l’occhio e conquista i palati. Lo si vede già dagli antipasti – come il baccalà cotto a bassa temperatura con asparago di mare, crema di patate silane alla vaniglia, pelle di baccalà croccante e olio al basilico – e dalla serie di crudi con il “nostro” sushi e la tartara di gambero rosso con zenzero e succo di pompelmo rosa, mix di risi differenti e zuppa di cipolla rossa di Tropea. Fantasia e tecnica emergono in primi come le chitarrine nere con gamberone rosso, tartara di gambero, tagliatelle di seppia e bisque di crostaceo ma anche in secondi come il filetto di rombo chiodato con putarelle, olive nere, cioccolato speziato e olio alla mandorla.

Per chi non ama il pesce, no problem: ci sono buoni secondi di carne – maialino nero cotto a bassa temperatura con salsa demi-glace, crema di borlotti, aceto di lamponi, cicorietta selvatica e cialda di pane croccante – oppure nella serie di piatti vegetariani come gli gnocchetti multicolori con crema di piselli, pomodori caramellati e perle di caciocavallo silano. La cantina è interessante, il cestino di pane e grissini merita (non troppa) attenzione sennò vi riempite prima di iniziare pranzo o cena. Insomma, si esce contenti, spendendo il giusto per la proposta (diciamo 50 euro) e sapendo di aver fatto anche una buona azione. Di questi tempi non è male.

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