Big FoodCon tutte queste, tutte queste bollicine…

Un incontro con Franco Ziliani, presidente di Guido Berlucchi & C., la cantina che impegna 75 persone ed è arrivata a una produzione annua di circa 4 milioni e 600mila bottiglie, record in Franciac...

Un incontro con Franco Ziliani, presidente di Guido Berlucchi & C., la cantina che impegna 75 persone ed è arrivata a una produzione annua di circa 4 milioni e 600mila bottiglie, record in Franciacorta e che insidia il primato nazionale delle “bollicine” alla trentina Ferrari. Ma soprattutto è l’enologo che riuscì – dopo sei anni di studi e tentativi – a realizzare nel 1961 le prime mille bottiglie di Pinot Franciacorta: l’antenata di quello che oggi è la “bollicina” più di tendenza. E’ lui quindi il pioniere del “sistema Franciacorta”, sogno di provincia che è diventato realtà internazionale.

Siamo diventati bravi, i francesi non ci sottovalutano – racconta – hanno capito che in quaranta anni abbiamo fatto passi da gigante, inimmaginabili. In questo senso, bisogna dare il giusto merito a Maurizio Zanella (il patron di Cà del Bosco, ndr) che ha cambiato la storia grazie al miglioramento viticolo: fu lui a testare l’idea delle 10mila viti per ettaro. Funzionò e tutti lo copiammo. Come del resto lui decise di produrre vino ispirandosi a noi. Il segreto della Franciacorta è che a un certo punto le aziende si sono convinte a lavorare insieme: le piccole hanno bisogno delle grandi che fanno traino e le grandi sono troppo poche per fare da sole. E’ la strada giusta, senza dubbio” .

Ziliani ha le idee chiarissime su come gira e usa il machete come sanno fare solo gli ottantenni. “Duole dirlo ma il nostro mercato non lascia speranze. Bisogna puntare all’estero. Io ho già provato in passato, personalmente, a New York che è la porta dell’America. Non ci sono riuscito ma ora ci stiamo riprovando. Il problema è che le aziende italiane quando si muovono non hanno il supporto concreto dello Stato, si devono industriare da sole. Potrei persino dire che mentre l’Italia rovina chi ci prova, la Francia lo sostiene alla grande. Ce l’hanno nel DNA: aiutano la moda, il turismo, la cosmesi e ovviamente l’agro-alimentare. Noi siamo lontani anni luce ma pretendiamo che Cina e India siano lì ad aspettarci e basta. Invece, mi creda, sono mercati davvero complicati“.

Non ci basta. Gli diciamo – scientificamente – che qualche suo illustre collega, a pochi chilometri da qui, sostiene che non ha senso puntare a una produzione maggiore, facendo come i rivali del Trento Classico. Il vecchio saggio (…) esplode. “Per me è una sciocchezza. I numeri contano eccome. Solo chi ha dei prodotti storici e unici come alcune cantine francesi può giocare su una quantità ristretta. Gli altri devono crescere. Sempre”. Sì, ma ha senso giocare contro lo Champagne sui mercati emergenti o lontani? “ Nessuno può nascondere che lo Champagne è su un altro pianeta: ogni anno dichiarano 350 milioni di bottiglie ma sono di più. Mi segua nel ragionamento: se in Cina e India, ci fossero anche solo 50 milioni di persone che scoprono le “bollicine” e bevono solo dieci bottiglie all’anno si arriva a 500 milioni di bottiglie. Beh, quei 50 milioni sono il 2% della loro popolazione totale. Pazzesco, no? Le loro briciole sono oro per noi”. In effetti, ragioniamoci.

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