Padania Valley è un progetto partorito nel febbraio 2011 a Londra.
Nasce alle 6.30 del mattino quando nel silenzio generale d’improvviso con un semplice sms capisco di non essere sola in quella città che si apre sconfinata davanti ai miei occhi dall’alto di una stanza d’albergo che è essa stessa metafora di un viaggio.
Londra l’ho conosciuta, l’ho capita e l’ho amata per averla percorsa sempre a piedi.
Come la mia Milano, come Torino, Venezia, Trieste, Vienna, Istanbul…
In quei giorni a Londra i ragazzi dei quartieri popolari affrontavano una battaglia politica in cui mi sono riconosciuta da subito “non crediamo al concetto di multiculturalismo, preferiamo quello di cosmopolitismo perché siamo tutti londinesi” diceva sulle pagine di The Indipendent il portavoce, un ragazzo inglese “basta con i finanziamenti alle comunità straniere, sì a finanziamenti su progetti che valgono utili a costruire riscatto sociale delle persone, del territorio, della nostra città perché le agenzie formative non sono solo le università”.
Vincono quella battaglia i ragazzi dei quartieri popolari, il ministro dell’istruzione-università-ricerca riforma il budget esattamente come dicono loro, i ragazzi dei suburbs che non occupano nulla ma si mettono in rete, creano senso comune e realizzano fatti.
Nel frattempo girando per Londra mi innamoro di Fulham, di West Ham del nuovo quartiere dei Docks che tante polemiche aveva suscitato ma sul quale proprio in quei giorni l’opinione pubblica inglese tornava a ricredersi.
Londra preparava le Olimpiadi.
Era il tempo di un quartiere come quello di West Ham dove accanto ad ogni agglomerato popolare c’è un campo da basket ben tenuto, una biblioteca tecnologicamente avanzata dove i giovani insegnano agli anziani, un centro di formazione professionale alta su ricerca, su innovazione, su materie scientifiche, umanistiche e filosofiche come la fisica.
Era il tempo dei docks da riempire con loft di lusso, attività commerciali spazi in gestione ai giovani dei quartieri popolari, riproposizione di microcosmi naturali secondo un principio molto semplice no ai quartieri ghetto, sì all’urbanistica come leva per la redistribuzione di opportunità e avanti con la trasformazione sociale della città.
Era il tempo di Fulham dove il mercato non si sostituisce ai piccoli commercianti ma al contrario si integra, si completa e realizza una simbiosi perfetta che solo bazar di Istanbul ormai parecchi anni fa ho conosciuto.
Pochi mesi prima Umberto Bossi a Milano annunciava di credere fortemente nella riqualificazione della Manifattura Tabacchi di Milano come polo culturale, televisivo-cinematografico e tecnologico da offrire alla città nel quartiere popolare di Niguarda.
In quei giorni a Milano Tremonti Giorgetti Ferlini assieme a Cota Chiamparino Zaia al Presidente dell’Aifi si confrontano con il mondo imprenditoriale tutto sui temi del fisco legati alla Grande Milano.
In quei giorni Milano ancora inconsapevole chiedeva un cambio di passo.
In quei giorni il Presidente Napolitano, il Cardinale Scola, l’allora assessore De Capitani e il consigliere comunale Marco Osnato si incontravano a Milano per patrocinare proprio un’iniziativa che teneva insieme produzione culturale, ricerca scientifica benefici sociali.
Quella mattina pensai che Milano avesse bisogno di Londra e viceversa, che l’Europa avesse bisogno di interdipendenza tra territori, di cooperazione nello sviluppo, nel welfare e nelle relazioni, di libertà consapevoli per le persone.
Quella mattina non partii per Southampton perché per noi quello era il passato ma prima di tornare a Milano feci tappa a Bruxelles.
Quella mattina in viaggio la spesi a definire il progetto di PadaniaValley che oggi grazie a Linkiesta inzio a realizzare.
Un progetto per contribuire ad un’Europa più forte.