In queste ultime settimane si è acceso un ampio dibattito sull’ esegesi della Destra italiana e sul suo declino ormai inarrestabile. Molti hanno ricordato l’ endorsement di Silvio Berlusconi «A Roma voterei per Fini» dell’ inizio del 93’ considerandolo l’ inizio di una storia, finita malamente dopo vent’ anni, con la tragicomica sconfitta di Alamanno alle elezioni per il Campidoglio. Era la Destra post-missina che divenuta “costituzionale”, si apprestava a diventare anche “Destra di Governo”.
Appaiono semplicistiche molte delle analisi di chi vorrebbe riesumare la fiamma in nome di una storia finita male. “Alleanza Nazionale” era contraddistinto da una base sociale chiara e da un’organizzazione talmente rigida da richiamare il modello del vecchio PCI. Raccoglieva il consenso di molti nostalgici del Fascismo, emarginati dalla Storia ipocrita di questo Paese. Riusciva a tenere insieme visioni economiche antitetiche, quella socialista e quella liberale in nome di “un’ identità superiore” mai veramente estrinsecata.
E’ nelle contraddizioni esiziali che vi erano fra le varie anime, che va ricercato il fallimento di quel progetto. La Destra non solo non è mai riuscita a superare la prova del Governo del Paese ma soprattutto non è riuscita a declinare quei Valori che la contraddistinguevano. Il culto del Capo, in un partito gerarchizzato a tutti i livelli, ha provocato a lungo termine, la totale assenza di dibattito interno, tranne che, quello per le poltrone, di cui i post-missini si sono ben presto innamorati.
L’ emancipazione della Destra, di fatto, non ci è mai stata, ed anzi, come ha scritto benissimo più volte Buttafuoco, i valori su cui sembrava essere fondata, sono stati progressivamente svenduti in nome di un relativismo ormai contagioso. Gli esponenti che la rappresentavano hanno preferito accontentarsi della mera rendita di posizione invece che affermare nel dibattito pubblico le idee su cui fu costituita. La legge naturale come presupposto essenziale, la società basata sulla famiglia tradizionale, la difesa dell’ identità nazionale, la salvaguardia delle tradizioni come segno distintivo di una storia comune, la cultura del rispetto delle regole e della certezza della pena sono oramai temi troppo desueti nel dibattito pubblico.
Sarebbe ancor più un errore non considerare quanto sia mutato il quadro politico negli ultimi vent’ anni. All’ inizio degli anni novanta, la deflagrazione della DC e l’ avvento di Berlusconi crearono le condizioni per un nuovo bipolarismo del quale Alleanza Nazionale era forza portante di una parte. Oggi, il progressivo decadimento di Berlusconi, rende irripetibile ogni vecchia formula sino ad oggi conosciuta, dicendola come Montanelli: il Fascismo fu Mussolini e soltanto Mussolini, il Berlusconismo è Berlusconi e soltanto Berlusconi.
Per questo sarebbe limitante ragionare secondo crismi ormai superati, indicando la strada breve, nella sola prospettiva di riesumare qualche poltrona o poltroncina.
E’ necessario invece indicare chiaramente una strada che traghetti l’ Italia verso un bipolarismo maturo, capace di unire e non di disgregare, che sostenga convintamente una radicale riforma presidenziale della costituzione, che apra definitivamente le porte alla “Terza Repubblica”. La nuova sintesi, depurate le forze politiche da ogni contraddizione ed ogni nolstalgismo, dovrà tendere ad un nuovo contenitore che fondi le proprie radici nel corservatorismo-liberale. Un grande movimento di ispirazione thatcheriana, che rigetti i rigurgiti socialisti, che apra le porte ai movimenti riformatori, che regali all’Italia, finalmente, il Centro-Destra.