Nel dibattito ri-animato dalla proposta di legge della senatrice del Pd Maria Spilabotte sulla legalizzazione della prostituzione, sembra essere stato rimosso dai commentatori un punto di partenza: si può ritenere liberante e laica una concezione della persona umana che preveda la commercializzazione del corpo in una serie di attività di relazione nelle quali l’incontro tra esseri umani viene ridotto a stimolo per l’autogratificazione genitale dei maschi, senza quella gratuità che non solo nell’amore, ma anche nell’amicizia e nell’allegria di un sesso “scambiato” per divertimento, dà valore, non avendo prezzo, all’incontro?
Mi sembra coerentemente “liberale” (come i liberali dell’800) l’idea di affidare alla libera autogestione della mercificazione di sé i risvolti sanitari e, soprattutto, fiscali, delle attività di prostituzione, in una logica di mercato, che si assume così nel campo dell’identità soggettiva e relazionale degli esseri umani; perché questo la prostituzione mette in gioco, non una semplice genitalità, ma gli archetipi fondativi di un ordine simbolico, per cui non ci sono zone libere dalla compra-vendita, e non ci sono spazi di rispetto per l’intimità di una relazione che deve potere essere socialmente considerata umana, e non economica.
La facile obiezione sulla ineliminabilità del mestiere più antico del mondo crolla di fronte all’atto ben più antico di Caino, che a nessuno viene in mente di citare per motivare la legittimità dell’omicidio, ma molto più appropriatamente, e sulla base della Sacra Scrittura, viene ricordato insieme all’intangibilità del corpo dell’assassino (“nessuno tocchi Caino!”); corpo umano e quindi intangibile, in ogni caso. Anche l’intangibilità del corpo umano è un principio alla base dei sistemi liberali (“habeas corpus!”), corpo intangibile anche senza il consenso della persona a cui appartiene, che non può rinunciare alla sua sicurezza e integrità, nemmeno se la volesse “mettere in vendita”.
Se questo era valido per combattere l’assolutismo che non riconosceva i diritti inalienabili della persona, perché oggi vi si può rinunciare in nome di una visione di società di mercato, in cui si teorizza che la persona umana possa essere messa in vendita, anche se per porzioni di tempo limitate, anche se per iniziativa della persona stessa, che realizza così la possibilità di ricavare un guadagno dallo sfruttamento di sé? “Considera l’essere umano, a partire da te stesso, sempre come fine e mai come mezzo”: l’etica fondativa della società liberale contemporanea era stata sintetizzata così già nel 1788 da Immanuel Kant, laicissimo e agnostico filosofo illuminista, che aveva individuato in questa libertà dell’essere umano da ogni strumentalità assoggettante il fulcro di una nuova antropologia per la società dei diritti, governata dalla ragione. Oggi invece sembra scontato includere tra i diritti della persona la disponibilità a rinunciare per denaro a questa libertà, a questa padronanza di sé. E questo può essere l’altra faccia della medaglia del femminicidio dilagante, generato dall’idea che la donna sia una “cosa”, di cui potere disporre senza condizioni, fino alla violenza definitiva, perché priva della dignità propria dell’essere umano. Perché nell’idea di comprare sesso e “impadronirsi” del corpo di un altro essere umano (non importa il genere) c’è un imprinting di violenza ineliminabile, anche se non sempre consapevole.
Nessun pensiero democratico, oggi che si elaborano nuovi pensieri sulla qualità dei diritti e delle istituzioni democratiche, sta sviluppando una riflessione su quanto possa essere antidemocratica la prostituzione, nei suoi fondamenti culturali, nell’idea di persona che sottintende e che la sostiene, plancton avvelenato di un mercato criminale che parte dalla tratta di esseri umani e arriva sui nostri marciapiedi come il “traffico triangolare” dell’età della colonizzazione; e che non sarebbe fermato da misure “regolatrici” o “cooperativistiche”, ma soltanto sottratto allo sguardo del pubblico, invisibile e quindi incontrollabile. Anche la schiavitù è stata considerata per millenni “naturale” ed economicamente indispensabile; oggi non è più cosi, almeno in quasi tutto il pianeta. Perché non pensare che possa avvenire lo stesso processo di espulsione dall’immaginario collettivo e dall’orizzonte dei valori condivisi anche per la prostituzione?
O ci basta “individualizzare” il processo di schiavizzazione per ritenerci allineati con la modernità? Forse saremmo coerentemente liberali, come i liberali dell’800 di fronte al lavoro minorile e allo sfruttamento selvaggio. Democratici sicuramente no.