Edward Snowden scappa in Venezuela. O forse no. È probabile, ma non oggi. E nemmeno domani. Mosca continua a fare melina nell’affare che più imbarazza l’amministrazione Obama. Curioso: due tra i most wanted della sicurezza americana, Snowden e Julian Assange, sono già soggetti al domicilio coatto. Il primo è nel limbo di un aeroporto, l’altro è rifugiato da un anno all’ambasciata dell’Equador a Londra. A Washington qualcuno potrebbe avere la brillante idea di lasciarli svernare lì.
Illecito, motivabile. Perseguibile, prevedibile. Sul Datagate e sul suo responsabile se ne sono dette di ogni. E si continuerà a farlo. Non si può negare la prelibatezza del tema per i media. Le banalità si avvicenderanno agli scoop, i quali poi verranno smentiti. O almeno si proverà a smontare teoremi, congetture e analisi.
A un mese esatto dallo scoppio della bolla, si può comunque abbozzare un bilancio parziale.
Non tanto a livello geopolitico. Il disastro è stato fatto. In ogni caso è difficile che i rapporti tra gli Usa e i loro alleati cambino. Come invece poco tempestivamente hanno detto alcuni leader europei. Inspiegabili, in particolare, le affermazioni del nostro ministro della difesa Mario Mauro. Quelle previsioni avventate sulle relazioni Italia-Usa che «sarebbero compromesse…» Se a Palazzo Baracchini c’è qualche consigliere di buon senso, spieghi per favore al ministro che le alleanze non saltano per queste cose. Soprattutto quando l’errore viene commesso dal soggetto forte. Washington ci spia. Tutti d’accordo, non è un bel modo di fare. Alzi però la mano chi, tra ministri, ambasciatori e generali, abbia il coraggio di mettere in discussione (leggi compromettere) l’amicizia con gli Stati Uniti.
Lasciamo perdere anche la faccenda per cui nessuno osa dire ad alta voce quello che è veramente Obama. E cioè la copia democratica di Nixon. Anzi no, peggio. Se non altro quello alcuni gol sul piano internazionale li aveva piazzati. Il Datagate è per gli Usa quello che la dottrina considera uno sputtanamento in piena regola. Vabbè. Capita anche ai primi della classe.
L’amarezza viene dalla morte di un mestiere. Da come improvvisamente siamo stati costretti ad aprire gli occhi sul misterioso mondo dello spionaggio. Snowden, con i suoi occhialetti da bravo figlio, ci ha praticamente detto che Babbo Natale non esiste. Anzi peggio. Babbo Natale esiste, ma c’ha la barba posticcia. Il Datagate ha smontato un sogno per tutti gli appassionati di thriller, film d’azione e ancora misteri, teoremi e sotterfugi.
Un mese fa la gola profonda del Guardian giustificava la scelta delle sue rivelazioni come uno sforzo «per informare il pubblico su ciò che viene fatto in suo nome e quello che è fatto contro di lui». Onore ai paladini della verità!
Snowden non è un eroe. Tutt’altro. Dieci anni fa, il ragazzo tentava di arruolarsi nelle forze speciali e combattere in Iraq con l’esercito Usa. Lo stesso esercito che oggi, a suo giudizio, appare come il braccio armato di un grande fratello planetario. Scartato dai berretti verdi, Snowden è andato a intercettare le telefonate della gente. Gli sono serviti dieci per capire che gli Stati Uniti sono brutti e cattivi e che il lavoro che stava facendo non è il più etico del mondo.
C’è chi dice che se fai la spia non puoi essere un bel personaggio. Spiare è peccato. Sì, c’è chi la butta sulla morale. Non che manchino le motivazioni. A non tornare però sono i conti sul perché Snowden si sia mosso solo ora. Perché il desiderio di una nuova verginità gli è sgorgato dal cuore in questa strana estate del 2013 e non 3, 5, 7 anni fa?
Da Mata Hari in giù, passando per i cinque di Cambridge, l’agente segreto è sempre rimasto un po’ in mito. Disinvoltura, eleganza, romanticismo o forse concreto erotismo. Con Snowden siamo lontani dal Bond style – come questo giornale ha scritto – e siamo altrettanto distanti dal barba finta figo della realtà. Un tempo gli agenti segreti, 007 italiani compresi, erano eleganti nel vestire, colti nel ragionare e interessanti nello scrivere. Erano gli avventurieri di film e romanzi sostanzialmente di bassa qualità stilistica, ma vincenti da un punto di vista narrativo. I loro personaggi regalavano il brivido dell’azione a chi non poteva permetterselo. C’era chi si domandava se quello che succedeva alle spie fosse vero. E in parte lo era. Oggi Snowden, con la sua sedentarietà informatica da nerd, ha sfatato anche questo mito. Nella spia del passato la scarsa moralità veniva compensata dal fascino della persona. L’autore del Datagate è invece uno slavato doppiogiochista. Ma non alla maniera di Philby o Gordievskij. Tanto meno uno spregiudicato mascalzone. Uno che l’ha fatto per i soldi. No, Snowden ha parlato per amore della verità… Maddai, ancora a crederci?!
10 Luglio 2013