Come era ragionevole aspettarsi, gli italiani sono molto preoccupati per la situazione economica del Paese e, anche, per quella loro personale. Lo stesso accade per le aziende.
Il grafico 1, sotto riportato, mostra l’andamento nel tempo di quanti dichiarano di essere “molto” o “abbastanza” preoccupati per la situazione economica del Paese o per quella propria personale. Come si vede, entrambi gli atteggiamenti si sono accresciuti nel tempo. Oggi dichiara di essere preoccupato per l’andamento dell’Italia il 99% dei cittadini (all’inizio della crisi, nel 2008, era l’86%) ed esprime lo stesso umore per la propria situazione personale il 91% (era il 74%).
Come sempre, vi è una differenza tra i due sentimenti: c’è, cioè, una quota di popolazione che dichiara di essere preoccupata per il Paese, ma non per il proprio destino. È perché si sente che tutto va male, ma si ritiene, come è tradizione nel nostro Paese, che “io sono diverso, io me la cavo”. Ma anche questa differenza è fortemente diminuita nel tempo (lo si vede dall’avvicinarsi delle due rette): in altre parole, il “melacavismo” è sempre meno diffuso e si teme sempre più anche per se stessi.
Il grafico 2 riporta gli atteggiamenti delle imprese, espressi dagli amministratori o dai responsabili di queste ultime. Anche in questo caso, la preoccupazione si è fortemente accresciuta nel tempo: oggi il 99% delle imprese è preoccupato per il Paese e l’86% per la propria situazione. Cinque anni fa, erano preoccupate del proprio destino poco più di due imprese su tre (di cui solo il 9% diceva di essere “molto” preoccupato). Oggi lo sono quasi nove su dieci (di cui il 49% “molto” preoccupato). Anche in questo caso, c’è sempre stata una differenza tra il sentiment riguardo alla propria impresa e quello verso l’Italia in generale. Ma, ancora una volta, il divario è andato diminuendo, sino quasi ad annullarsi. Oggi il timore del disastro accomuna singole imprese e Paese nel suo complesso. Né pare vi siano segnali di ripresa: li percepisce (grafico 3) solo poco più del 10% della popolazione.
Ciononostante è emerso nelle ultime settimane qualche accenno di un atteggiamento più positivo, che sembrerebbe però già esauritosi. Quando si parla degli anni a venire, alcuni esprimono un atteggiamento più positivo e altri uno più negativo. Il grafico 4 riporta, nel tempo, la differenza tra gli “ottimisti” e i “pessimisti”. Malgrado la crisi, per diverso tempo, gli ottimisti erano più dei pessimisti. Poi, negli ultimi mesi, questi ultimi hanno assunto la prevalenza.
Tuttavia, da febbraio ad oggi, sembrerebbe esserci stato un mutamento di atteggiamento e, specie per ciò che riguarda le imprese (grafico 5), il numero degli ottimisti aveva ripreso a superare quello dei pessimisti. Questo atteggiamento è stato rilevato anche dai dati ISTAT del giugno scorso.
Nell’ultima rilevazione di ISPO Ricerche, di qualche giorno fa, però, la percentuale dei pessimisti si è di nuovo elevata. Potrebbe trattarsi di un’inversione di trend, come di un fatto temporaneo. L’analisi effettuata con le medie mobili sembrerebbe infatti suggerire che, in ogni caso, si vada ampliando l’atteggiamento ottimista. Ciò non significa, naturalmente, che la crisi sia superata: si tratta infatti del “sentiment” di singoli cittadini (o imprenditori) e non di esperti economisti. Ma si registra comunque, forse, un accenno di possibile mutamento del “mood” degli italiani.
L’inversione del “clima di opinione” costituisce, come si sa, un fattore essenziale per l’avviarsi di una vera ripresa. Finché la gente è pessimista è più difficile che consumi e che investa. Se ha speranza nel futuro, viceversa, può cominciare a farlo.