Ballo, un altro flop del bicentenario verdiano alla Scala. Se quello wagneriano è stato festeggiato con un meraviglioso Ring, dopo il travagliato e deludente Lohengrin di Sant’Ambrogio, con Verdi un’ altra volta non ci siamo. Macbeth era stato mediocre sotto tutti gli aspetti, Un Ballo in Maschera è stato rovinato da una messinscena tanto supponente quanto banale.
L’ Avvenire ci informava tempo fa che finalmente avrebbe debuttato alla Scala Damiano Michieletto, 38 anni, “il più geniale regista lirico della scena di oggi”. Niente meno.
Di fronte al titolo Un ballo in maschera Damiano Michieletto si è fatto una semplicissima domanda: «Perché viene organizzato questo ballo?». Risposta altrettanto semplice, ma spiazzante. «Nel libretto non lo si dice mai». Allora? «Il Ballo del titolo sarà un party elettorale indetto da Riccardo che ama circondarsi di fan perché, da politico, ha un estremo bisogno di consenso».
Wow! Oltre al party elettorale ci sono delle mignotte con stivaloni e minigonna d’ ordinanza. Geniale. Il più geniale, anzi. A chi di voi sarebbe mai venuto in mente di mettere un’adultera tra le puttane?
Il Ballo in Maschera è una storia che, secondo Michieletto, non potrebbe essere rappresentata senza essere riadattata e trasportata ai giorni nostri. Nell’ originale, Riccardo governatore a Boston è innamorato di Amelia, moglie del suo migliore amico Renato. Pur senza aver mai consumato l’ adulterio e pur avendo deciso di rinunciare a quell’ amore proibito, Riccardo verrà ucciso dal consorte geloso. Intorno c’ è il contorno di una congiura contro il potente, che è “trasportabile”, Verdi stesso la spostò dalla Svezia al Massachusetts per problemi di censura e potrebbe essere ambientata dappertutto, purché Riccardo sia un uomo di potere con gli inevitabili nemici. Innamorarsi della moglie dell’ amico capita purtroppo in tutti i tempi e a tutte le latitudini. Fatto sta che, cambiando l’ ambientazione, una storia così non cambia.
Il “più geniale Michieletto” ha avuto l’ illuminazione del party elettorale, che sarebbe anche accettabile, se il resto mantenesse un senso logico, ma poi l’ indovina Ulrica, “dell’ orrida razza dei negri” diventa una politically correct bionda imbonitrice e non si capisce perché sarebbe in grado di predire il futuro e la morte del potente, non sembra un Mannheimer o un Piepoli, ma guarisce i paraplegici come una pedestre, incongrua scopiazzatura di Tommy degli Who, versione Ken Russell.
Nemmeno si capisce perché, tra politici nostrani odierni, ci si debba eliminare con l’ omicidio anziché a palazzo di Giustizia o perché Riccardo, in puttan tour su una bella BMW blu, debba incontrare la povera Amelia impellicciata in mezzo a delle mignotte messe in scena per scandalizzare, ma con juicio. In Germania, dove da decenni imperversa la mala pianta del Regietheater che Michieletto ci presenta come novità (ma si sono stufati anche i Tedeschi), è obbligatorio cambiare l’ ambientazione dell’ opera, con una preferenza per il nazismo e di un po’ di scandalo sessuale. Un Michieletto crucco ci avrebbe almeno fatto vedere un po’ di tette&culi, ci avrebbe sollazzati con un po’ di sesso sadomaso in scena, ma l’ accorto Michieletto scandalizza col bilancino. E allora a che cosa servono le mignotte? Verdi, che contrariamente a Michieletto aveva un grandissimo senso dello spettacolo ed era un precursore del genere horror, mandava la povera Amelia di notte nel campo delle impiccagioni a cercare l’ erba magica che fa cessare la passione, ma per il Michieletto l’ orrore massimo che può provare la borghesuccia è essere derubata del visone e della borsetta da una puttana. Puttana come lei, che è adultera nel cuore? Geniale innovativa critica alla Weltanschauung piccolo-borghese, ma gli anni ’70 dovrebbero essere passati da un pezzo.
“Io non sono che un critico” canta Iago, ma io non sono nemmeno un critico e, come Fantozzi davanti alla corazzata Potemkin, ho avuto la sensazione che questo Ballo in Maschera fosse “una cagata pazzesca”, costruita a tavolino per spacciare come rivoluzionaria genialità nella Penisola il Regietheater che è più vecchio del geniale regista, il quale aveva pure messo le mani avanti con un comunicato stampa in cui avvertiva che sarebbe stato contestato, da loggionisti cha avevano avuto qualche anteprima sull’ allestimento. Scontati dunque i buu finali del pubblico all’ indirizzo dell’ incompreso regista, mentre la piccola claque a lui devota lamentava le critiche ad una “regia che passerà alla storia”.
Io, che sono solo un povero spettatore ignorante, ho visto spettacoli altrettanto sconclusionati, ma almeno non c’ era tanta presunzione. Non sono per niente tradizionalista, ad aprile mi era sembrato opportuno che Mario Martone avesse rivoluzionato l’ opera prima di Verdi, quell’ Oberto Conte di San Bonifacio la cui trama risulterebbe attuale, oggi, solo in qualche vallata talebana del Pakistan. Come mettere in scena, nel 2013, un’ opera in cui un padre uccide chi ha deflorato la figlia e non la vuole sposare? Martone ha ingravidato la figlia e così pare meno assurdo l’ omicidio, fra camorristi per cui la fanciulla col pancione, abbandonata, è certamente uno sgarro. Dunque non è per aver attentato al canone verdiano che ho trovato rivoltante che si spendesse denaro pubblico, nonché quello pagato dal pubblico per le costose poltrone di velluto rosso, per questo spettacolo che era inguardabile, per la dissonanza assoluta fra quello che veniva cantato e quello che veniva rappresentato in scena, per la prepotenza con cui la parte scenica veniva portata a sovrastare la musica, che in molti momenti è davvero sublime.
Quello che mi ha infastidito è che si è trattato di un’ operazione decisa a tavolino, con la collaborazione di certa stampa, per spacciare come Messia un modesto copiatore delle peggiori e fruste mode tedesche. Con tutto il rispetto soprattutto per la bella auto bavarese, è come se il regista ci proponesse una nuova moda, a Milano, saccheggiando un vecchio guardaroba di Angela Merkel.
A giugno la Scala mi era sembrata veramente come Bayreuth, per l’ eccelsa qualità musicale dell’ Anello del Nibelungo riproposto intero dopo mezzo secolo. Ieri sera mi è sembrata invece come Bayreuth per l’ arroganza con cui è stata imposta come magnifica una messinscena inutile, noiosa e banale. A Bayreuth pare che non possano fare a meno delle idee un po’ bacate delle signore Wagner, eredi del Festspielhaus, ma la Scala è pubblica e dovrebbe mirare alla qualità della musica (discreta, ma non “da Scala”), non allo scandaletto organizzato dal regista per aumentare la propria popolarità e passare da martire degli ignoranti conservatori del loggione, che non hanno capito di trovarsi di fronte al nuovo Sacre du Printemps.
La Scala ha bisogno di direttori eccelsi come Barenboim (nel suo repertorio, non in Verdi), di bravi cantanti, di registi con buone idee che sappiano anche rischiare, ma non di geni come Damiano Michieletto, il più grande, che lasciamo generosamente al resto del pianeta.
Un allestimento d’ opera dev’ essere innanzitutto musica, amore per la musica, non l’ occasione per gonfiare l’ ego del regista con i soldi del contribuente. Se questa moda attecchirà alla Scala, sarà la sua fine.
Al regista ricordo quanto dichiarò in un’intervista del 2012:
Cosa pensa dei registi che stravolgono il testo e le intenzioni di compositore e librettista?
Penso che se il risultato è buono hanno fatto bene, se invece il risultato è banale e noioso allora hanno fatto male. Sta al pubblico giudicare!