La Nota Politica dei VentenniIstituto per la storia politica,un altro ente inutile

 Fino a poco tempo fa nessuno ci avrebbe creduto, ma le larghe intese e il clima di apparente pacificazione politica hanno cambiato davvero tutto. Compresa la quotidiana attività parlamentare. Oggi...

Fino a poco tempo fa nessuno ci avrebbe creduto, ma le larghe intese e il clima di apparente pacificazione politica hanno cambiato davvero tutto. Compresa la quotidiana attività parlamentare. Oggi, infatti, non fa più notizia che le proposte di legge siano promosse, in modo più che bipartisan, da tutte le forze politiche di maggioranza. Neanche quando, austerità permettendo, richiedono altri soldi. Proprio come la numero 837, presentata a fine aprile da 15 deputati di Pd, Pdl, Sel e Scelta Civica, allo scopo di istituire l’ennesimo ente pubblico: l’Istituto per la storia politica della Repubblica Italiana. Obiettivi istituzionali: “salvaguardare e valorizzare i documenti storici, i fondi archivistici e i patrimoni culturali dei partiti politici”.

Solennità di intenti a parte, è segno dei tempi. Non quelli della pacificazione coatta e della concordia di facciata (l’intervista doppia a Brunetta e Fassina pubblicata sull’ultimo numero di Panorama lo testimonia icasticamente), bensì della necessità dei partiti politici di correre al riparo in vista dell’abolizione del finanziamento pubblico.
Per il lancio del nuovo ente, che diventerà una sorta di maxi fondazione pubblica, è prevista l’erogazione di un capitale iniziale di 500.000 euro, al quale aggiungere un finanziamento annuale di 1,5 milioni di euro, prelevati dal fondo della Presidenza del Consiglio, per i primi 3 anni. Solo per la costituzione, però. Per quando sarà a regime, si stabilisce che i finanziamenti derivino “dallo Stato e da altri enti pubblici, erogati nell’ambito dei finanziamenti previsti per il potenziamento della ricerca” e “da altre forme autonome di finanziamento”, come donazioni e liberalità. Peccato che non si precisi la dotazione di soldi pubblici, al di là di quelli per l’avviamento iniziale, né quali siano gli “altri enti pubblici” incaricati di sovvenzionarla.

Chi gestirà questi soldi? – A questo punto la questione si fa interessante. L’art 1 al comma 2 del testo prevede, infatti, che a far parte del nascituro Istituto siano le principali fondazioni politiche italiane, le stesse che per scopo costitutivo dovrebbero già occuparsi della conservazione e della valorizzazione degli archivi dei partiti di riferimento. In qualità di membri di diritto e soci fondatori sono indicati l’Istituto Luigi Sturzo, la Fondazione Istituto Gramsci, la Fondazione Filippo Turati, la Fondazione Luigi Einaudi, la Fondazione Ugo La Malfa, la Fondazione Ugo Spirito. Inoltre, è previsto che il Ministero dell’istruzione, sotto il cui controllo verrà posto l’Istituto, possa conferire “per decreto la qualità di membro ad altre istituzioni culturali operanti nel settore della storia politica della Repubblica italiana”. E’ superfluo ricordare che le fondazioni politiche di cui sopra sono infarcite di politici ed ex politici e che già ricevono lauti finanziamenti pubblici sottoforma di erogazione diretta da parte del Mibac e del Miur, oltre alla possibilità di destinare loro il 5xmille dell’Irpef.

C’è da dire che la maxi fondazione non nascerà con lo scopo di razionalizzare l’attività degli istituti privati, gestiti dai partiti o sotto la loro influenza, né per sostituirsi ad esse nella conservazione, valorizzazione e fruizione del materiale documentale in loro possesso, ma solo per “coordinare le attività” archivistiche svolte dagli istituti privati e dai partiti politici e promuovere “la digitalizzazione e la salvaguardia delle fonti”. Invece di semplificare e concentrare in un unico organo, se ne aggiunge semplicemente un altro con il solito stratagemma del coordinamento.

Nuovo Ente, nuove poltrone – Il testo della proposta di legge prevede che, fra presidente, membri del consiglio direttivo, giunta esecutiva e collegio di revisori dei conti, ci sia spazio per 24 nuove poltrone, coadiuvate “da personale tecnico e amministrativo dipendente dal medesimo Istituto nonché da personale scientifico proveniente da università o altri enti pubblici o privati, nazionali e stranieri”. E’ una pia illusione sperare che lavorino per il semplice amore della ricerca e della conservazione storica. Insomma, un’altra scorciatoia della politica per autoconservarsi e distribuire incarichi e nomine.
Politica e Poteri forti dentro le fondazioni- Si pensi alla Fondazione Gramsci, nel cui cda siedono Piero Fassino e Ugo Sposetti, già tesoriere dei D.s. e molto esperto di fondazioni. Per non parlare dell’Istituto Luigi Sturzo, presieduta dall’ex presidente della banca Bpm ed ex politico Dc, Roberto Mazzotta, e nel cui comitato direttivo siede anche l’ex ministro Andrea Riccardi. O la Fondazione Einaudi, nella quale spuntano tra vari soci fondatori anche Fiat, Fondiaria, Pirelli, Generali, Mediobanca, Mps, Unicredit e il Fondo F2i di Vito Gamberale. Con un simile parterre di membri e finanziatori, la fondazione Einaudi ha davvero bisogno di un nuovo ente pubblico che svolga le attività che già svolge per conto proprio?

Senza parlare dei finanziamenti pubblici che ogni anno queste fondazioni già ricevono per fare quello che dovrebbe fare il nuovo Istituto, che ad esse non si sostituisce: solo i Ministeri dei beni culturali e dell’istruzione hanno erogato loro, per il solo 2012, quasi 10 milioni di euro.

Appare paradossale che sotto il controllo del Mibac via sia l’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, incaricato di svolgere attività di restauro, ricerca, conservazione e promozione di tutto il patrimonio documentale italiano e che, per attendere ai suoi scopi istituzionali su tutto il territorio nazionale, ha ricevuto nel 2011 poco più di 2 milioni di euro di finanziamento. Due pesi simili, per due misure opposte. E’evidente, quindi, che tutti gli archivi sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri.

Twitter: @enricoferrara1

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club