Una figlia come teRebozo e mei-tai: il lato eco delle fasce porta-bebè

Tutte le mamme, prima o poi, vorrebbero essere come una dea Kalì a sei mani: un paio per tenere il bambino, un paio per le faccende di casa, un paio per sé. Laddove Madre Natura non è arrivata – a...

Tutte le mamme, prima o poi, vorrebbero essere come una dea Kalì a sei mani: un paio per tenere il bambino, un paio per le faccende di casa, un paio per sé. Laddove Madre Natura non è arrivata – ahimé, ne abbiamo solo due – ci pensa il marsupio porta-bebè: una fascia che si lega con delle bretelle al torace del genitore e consente a mamma e papà di portare con sé il piccolo mantenendo comunque le mani libere.

La manifattura moderna ha messo sul mercato marsupi porte-enfant super-tecnologici, in materiale traspirante per non far sudare il bambino, con spalline regolabili che possono essere montate sul petto o sulla schiena per chi volesse portare il piccolo a mo’ di zainetto. Per le #ecomamme che una mano, oltre che a se stesse, vogliono darla anche all’ambiente la soluzione migliore sono le fasce porta-bebè di stoffa. Cotone biologico, lino oppure seta: solo materiali naturali per questi oggetti dalle origini antichissime che le tradizioni popolari di tanti Paesi nel mondo hanno reinterpretato, ciascuna a proprio modo.

Il rebozo, ad esempio, nasce come una sciarpa molto ampia tipica dell’abbigliamento femminile nella tradizione spagnola e poi messicana. Ha colori sgargianti e, oltre che come stola, viene utilizzato dalle donne per trasportare i bambini (come una fascia ad anello) e grazie ad alcune tecniche particolari anche per aiutare le mamme durante la fase attiva del travaglio, e per massaggiare il piccolo.

Cambiando continente, in Asia esistono diverse versioni del marsupio: in Corea lo chiamano podaegi, in Cina mei-tai fino all’onbuhimo di tradizione giapponese, che a sua volta deriva dall’obi-sash, un accessorio femminile per il kimono. Il meccanismo, seppur con alcune varianti, è sempre lo stesso: una fascia centrale – in genere rettangolare – e una o due bretelle che consentono di legare il bebè al petto, sulle spalle oppure sull’anca, e di assicurarlo contro eventuali cadute.

Sarà il sapore familiare di una tradizione millenaria o il tocco ecologico dei materiali naturali, oggi sempre più mamme scelgono di portare i propri bambini su colorati rebozo di stoffa oppure mei-tai che sono diventati veri e propri accessori di abbigliamento. L’importante è “portare” perché il babywearing, come è stato ribattezzato, è una pratica dai benefici molteplici e universalmente riconosciuti. Il contatto tra mamma e bambino aumenta infatti la produzione di ossitocina, l’ormone che favorisce l’allattamento, dà conforto fisico e psicologico al piccolo che sente da vicino il battito cardiaco del genitore, rafforza il legame tra genitore e figlio, consente di muoversi in autonomia e sicurezza.

C’è chi dice che con un mei-tai, che regge il peso di un bambino fino a 15 chili, si può addirittura fare a meno del passeggino. Difficile a dirsi, 15 chili non sono pochi per le spalle e per la schiena. Ma è anche vero che tenere il proprio piccolo accucciato al petto fa camminare a un palmo da terra.

Per la foto si ringrazia Bobo Mama su Flickr.com

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