George Alexander Louis. Tre nomi, in controtendenza con la tradizione dei reali britannici, per essere “più vicino alla gente”. Eppure il #RoyalBaby di Kate Middleton e del principe William continua a scatenare gioia e discussioni, polemiche e ammirazione. Ha persino inaugurato forse una nuova era dell’informazione digitale visto che The Guardian, per l’occasione della nascita, lunedì ha messo online due versioni diverse della stessa testata: una Royal, con le notizie dalla Lindo Wing e una Republican, che le ignorava.
Da mamma di un bambino altrettanto piccolo – sarebbe ipocrita negarlo – l’arrivo del Royal Baby mi ha ricordato con emozione quando è nato il mio, di Baby. E anche che lui, a parte che del mio cuore, non è nato con il diritto a diventare re.
La monarchia inglese è la più vecchia e stabile d’Europa, forse del mondo. Giudicarla non avrebbe senso e pretendere che la nascita del terzo erede al trono sia cosa di poco conto sarebbe altrettanto anti-storico. Ma in un momento in cui si parla tanto di giovani, di mancate opportunità e della fantomatica meritocrazia mi fa riflettere che Kate Middleton abbia partorito un futuro Capo di Stato e tutte le altre donne, io compresa, nella migliore delle ipotesi un cittadino se non un suddito.
La nascita “di stirpe reale” e il diritto ereditario a governare popoli e nazioni sono ciò che più si distanzia dal concetto di merito. Sono un retaggio della storia che confondeva potere divino e temporale; sono un prurito nell’orgoglio di chi, come me, un regno al suo bambino proprio non lo può regalare. Mi chiedo se mentre ci culliamo nel sogno della favola di Will e Kate, i giovani a cui è stato affidato l’ingrato compito di riavvicinare una monarchia millenaria alla gente del ventunesimo secolo, non finiamo per essere complici di quel sistema che altrimenti ci affanniamo a combattere, di quello che è senza dubbio il più anti-meritocratico fra i metodi di selezione.
Tante volte ho pensato al mio futuro. Ora che sono mamma, ma non mi sento certo troppo vecchia per inseguire sogni e ambizioni, di futuri a cui pensare ce ne sono almeno due. E nella retorica della (quanto mai vera) frase “Figliolo, tutto questo un giorno sarà tuo”, anch’io vorrei che mio figlio avesse il diritto – che è più di un’opportunità – di diventare “re”.
Paradossalmente è più realistico che diventi Papa.