Che fine abbia fatto la privacy da quando esistono i social networks non è certo una domanda nata ieri e non è tanto su questo che voglio interrogarmi. In fondo, un social network è solo un sistema inerte che si propone con proprie caratteristiche tecniche, ma le cui qualità dipendono dall’uso che ciascuno ne fa. Dunque, la scelta è personale. Resta più che altro l’amaro in bocca quando si perde il gusto del telefonare ad un amico per chiedergli come sta; è già tutto condiviso con centinaia di persone, che valgono come una, nessuna e centomila.
La questione che pongo qui è piuttosto un’altra e nasce da un’impressione non supportata da alcuna evidenza clinica o di ricerca, quanto piuttosto da storie raccolte nella pigrizia della quotidianità estiva e che per lo più hanno delle donne per protagoniste. Propongo due casi “prototipici” (e dunque sintesi di più situazioni che vengono accorpate in un singolo esempio).
Il primo: lei ha un compagno/marito belloccio, dedito con estrema attenzione al culto della propria immagine e appassionato del flirt ad ogni costo, che non necessariamente esita nel tradimento in senso stretto e che resta generalmente fine a se stesso. Angosciata per molte e diverse ragioni (la paura di essere abbandonata, di passare per cretina, di non essere “abbastanza” per il proprio uomo che dunque guarda altrove…), intraprende un’intensa attività di spionaggio facebookiano diventando esperta di analisi testuale e di ermeneutica, manco si trattasse di un testo Biblico; quotidianamente esamina post, commenti, aggiornamenti di status, emoticons che diventano codici da decifrare, segni di una “relazione pericolosa” tra lui e questa o quella signorina. La fase successiva è lo studio del profilo di lei, l’“Altra”, l’attenta osservazione delle sue fotografie, delle sue attività… ciò in un dispendio estremo di energie sottratte al lavoro, o al piacere di una giornata serena che viene puntualmente inquinata da quella frase che “non torna”, e chissà che cosa avrà voluto dire.
Ecco l’elemento in comune con il secondo caso prototipico: la relazione è finita – da quanto tempo non importa, perché la differenza la fanno i sentimenti, o il fatto di continuare a considerare l’altro come un proprio possesso – e lei deve monitorare il suo status; è solo? frequenta diverse persone ma senza impegno? ha un nuovo legame? è tornato con la ex? E proprio come nel primo caso, anche qui l’analisi è accurata e molta attenzione viene dedicata all’Altra.
Naturalmente il rischio è quello della deriva paranoide, del vedere il male ovunque perché, come diceva Jacques Lacan a proposito della paranoia, “tutto fa segno” e una parola viene riempita di significati che non ha se non nella testa di chi la legge. Tuttavia, i casi sopra descritti interessano la donna in modo particolare perché toccano una questione cruciale, vale a dire il rapporto con l’Altra donna messa nella posizione dell’ideale: lei infatti sa molto meglio come si fa la femmina, come si cattura il desiderio dell’uomo; bisogna dunque “studiarla” per carpire questo segreto che sfugge, per completare finalmente la propria immagine mancante e trovare una risposta ad una domanda che lascia tutti in impasse, persino lo stesso Freud: che cos’è una donna?
Bene, la risposta non c’è se si cerca una definizione universale. Ciascuna donna si realizza nella propria unicità, nella particolarità del rapporto che intrattiene con il proprio corpo, con la propria sessualità. Le soluzioni possibili sono tante quante le donne che abitano il mondo e per questa ragione la via del confronto con le altre è sempre fuorviante, dispendioso, inutile, spesso legata ad un eccesso di aggressività, a invidia distruttiva, al senso di colpa, alla depressione, al lamento. Altra cosa è trovare da sé il proprio posto nel mondo, senza pretendere di reperirlo in un ideale che non esiste, o nei mandati sociali che sanciscono un dover essere, o nella competizione con il maschile.
A questo proposito, la psicoanalista Marina Valcarenghi valorizza l’importanza del riscoprire l’istinto aggressivo femminile per trasformarlo in energia vitale. Ecco dunque il consiglio per la lettura: Valcarenghi, M. (2003). L’aggressività femminile. Bruno Mondadori, Milano.
Nell’immagine: Edward Hopper (1938). “New York Movie”.