Le FlâneurIl dolore dell’amore nel silenzio dell’addio

Cara lettrice, Caro lettore, senza alcun commento, Vi invito a leggere.   Mia cara, le viole sono dappertutto qui intorno a me. Ho chiesto io che fosse così, ma adesso vorrei poterne coglierne una...

Cara lettrice, Caro lettore,
senza alcun commento, Vi invito a leggere.

Mia cara,
le viole sono dappertutto qui intorno a me. Ho chiesto io che fosse così, ma adesso vorrei poterne coglierne una e farmi disarmare dall’intenso odore dei tuoi capelli. Ti guardo, ma tu non rispondi. I tuoi lunghi capelli sembrano indicarmi qualcosa. Distolgo lo sguardo. Torno a fissarti, in silenzio. Qualcuno lo nota e mi chiede se ho bisogno di qualcosa. Mi metto a camminare. Tu continui a non muoverti, non mi degni di uno sguardo o di un sussurro. Come se si possa mai scordare il tempo della felicità solo perché la vita ti ha fatto uno sgarbo.

Torno indietro. Vorrei dirti qualcosa. Suggerirti che ci sono mille altri modi per comportarsi davanti a tanta gente. Mi trattengo, ma fa male dentro. Tu sei lì, ancora ferma. Se è possibile ancora più bella.Seppure qualcuno ti ha suggerito di chiudere gli occhi perché è così che deve andare, vorrei che tu mi guardassi ancora.

Chiedo un whiskey. Chiudo gli occhi, ma non percepisco alcun sapore. Ti cerco nel buio. Non dovresti andartene senza nemmeno avermi perlomeno concesso l’onore di un ultimo ballo. Ricordi che ti feci innamorare di me con un valzer? Adoravi Verdi e io adoravo vederti sorridere mentre lo ascoltavamo per interi pomeriggi di sabato.

Quando le tue gambe non ressero più, mi chiedesti di ricordarti cosa fosse l’allegria. “Cara, l’allegria è salutare il sole quando ci abbandona e vederlo rinascere fiero e baldanzoso”. Mi ridesto. Solo adesso ho capito che nei tuoi occhi c’era la paura di non avermi detto quanto fosse grande il tuo amore verso di me. Avrei dovuto capire che quelle brevissime smorfie di dolore non erano bieche richieste di attenzione, ma l’unico segno tangibile della lotta che conducevi in silenzio. Quel silenzio misurato che adesso manca, perché qui ce n’è fin troppo.

Sento in lontananza un incedere singhiozzato. Mi rendo conto che tutti attendono che qualcuno dica qualcosa, solo che non capisco cosa aspetti tu a dir la prima parola. Non riesco a spiegarmi che padrona di casa scortese che sei oggi! Vorrei che, già dal secondo colpo di tosse che rompe questo silenzio, ti accorgessi che cerco di richiamare la tua attenzione. Tutti stanno guardandoti, forse anche loro attendono. Potrei farlo io, dire due parole, ma quali? Non so nemmeno perché siamo qua.

Le tue mani sono giunte. Le tue dita sono adornate da tre anelli. Uno per ogni persona che hai amato. C’è l’anello della tua adorata madre. Vicino c’è l’anello, dono d’amore di tuo figlio partito come allievo ufficiale e tornato nell’abbraccio di chi gli ha voluto bene. Poi c’è l’anello benedetto, non credo serva aggiungere altro.

Passo una mano tra i miei baffi. Le mie dita mi svegliano. Vedo una donna davanti a me piangere: è donna Rosetta. Non capisco. Vicino c’è una signora, non so distinguerne i lineamenti perché una cravatta nera ciondola davanti a me. Ricevo una stretta di mano e un bacio. La scena è ancora più confusa. “Caro, state bene?” “Certo che si! Badate a voi piuttosto. Siete molto pallido onorevole”. Sorride, è commosso. Non so cosa pensare.

Una farfalla si è posata sopra una viola vicino alle tue mani. Chiedo al nostro figlio più piccolo di prendere la macchina fotografica molto velocemente. Mi afferra per un braccio. Avvicina il suo volto al mio orecchio e mi sussurra “Papà, dove credete che siamo?”

Spalanco gli occhi. Serro la mascella. Ho gli occhi addosso. Deglutisco. Mi giro verso di te. Tu non ci sei più. Al tuo posto c’è un corpo che non può essere il tuo. Hai il viso bianco e il sorriso di chi ha visto un barlume di pace. Mi giro di scatto verso nostro figlio. Mi parla con gli occhi più di quanto non sia riuscito a fare in tutti questi anni. E’ giunta l’ora dell’addio.

Sono da solo a casa. La bocca del camino è silenziosa. Le tue sono state delle belle esequie, se mai è possibile che ne esistano di belle. Nostro figlio mi ha confessato che ha pianto nel segreto della sua stanza. Non so fargliene una colpa. Io no, non ho pianto. Tu lo sai che non ti avrei mai permesso di guardarmi farlo. Ma adesso tu non ci sei e la mia vita ha perso quel tocco di felicità. Già, la felicità. La felicità adesso sarebbe per me raggiungerti il più presto possibile. Due anime che si amano non sanno starsi lontano. Ma questa vita è sacra e io non posso che accettarlo.

Ricordo che una volta mio padre mi disse che tutti gli uomini hanno un tacito accordo con l’Onnipotente: si rimane su questa terra fino ad un momento prima di coglierne il senso e poi si va, verso i Campi Elisi. Vorrei tanto che il senso tu lo spiegassi adesso a questo corpo senza cuore che è seduto raccolto sulla poltrona. L’anima risiede nel cuore e il mio è in volo con te.

Mai come oggi, per sempre tuo
Lettera Firmata

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