Big FoodLe (vere) forme della pizza

Il sistema migliore per aprire un (sereno) dibattito su dove vada la pizza e quanto sia buona anche stravolgendo – in parte – la sua natura è assaggiarla a 360°. Il massimo è riuscirci nello stesso...

Il sistema migliore per aprire un (sereno) dibattito su dove vada la pizza e quanto sia buona anche stravolgendo – in parte – la sua natura è assaggiarla a 360°. Il massimo è riuscirci nello stesso posto e nella stessa seduta gastronomica e noi lo abbiamo fatto da Saporé, uno dei templi della “nuova pizza” o “pizza 2.0” o come volete voi. Sta di fatto che Renato Bosco, figlio di San Martino Buonalbergo – cittadina nei pressi di Verona, ma sicuramente non in zona turistica – e anche questo è un merito per il super pizzaiolo – ha fondato e guida brillantemente un locale dove il leit-motiv è appunto “Le forme della pizza”.

Tutto nasce dalla passione di un ragazzo, classe 1967, che preso il diploma inizia a lavorare in una pizzeria, prima come cameriere e poi al forno. Poi una serie di locali di proprietà, di stampo tradizionale, insieme ad altri soci. Nel 2003, decide di fare da solo – affiancata dalla dinamica moglie Samantha – e tre anni dopo apre Pizzadaré, locale dedicato solo all’asporto ma con una pizza “diversa” e tuttora in attività. Nel 2009 raddoppia con Saporé ed è il boom, in pochi giorni. Segue la fama a livello nazionale, le collaborazioni con chef famosi, la partecipazione a Identità Golose e via dicendo. “Mi considero più che altro un ricercatore della pizza– spiega – ci sono bravissimi colleghi impegnati a farne un piatto molto ricco e lontano dalla tradizione. Penso a Massimiliano Alajmo con la sua pizza al vapore, per esempio. L’importante è che si sia creato grande interesse per un tema che sembrava scontato: c’è spazio per la tradizione, la contemporaneità che è quella in cui mi riconosco e l’avanguardia”. Quindi pizza-gourmet cosa vuol dire? “Per me vuol dire realizzare una pizza con materie prime di alto livello come si fa per un buon piatto al ristorante. A partire dalla farina macinata a pietra di Molino Quaglia, tipico esempio di come la ricerca abbia migliorato un prodotto. Poi pomodoro pugliese, le mozzarelle campane, le acciughe siciliane, il crudo di Parma 24 mesi…Questo fa la differenza, oltre che l’esperienza e la tecnica del pizzaiolo”.

Doti che Bosco estrinseca al meglio nella proposta “Le forme della pizza”, viaggio gustoso a 360°: aria di pane (con burrata e crudo, fenomenale: ricorda le “spugne” di Cracco e Crippa), in teglia alla romana (farcita o imbottita), al trancio (farcita), in pala (conviviale, del tipo al metro) e classica (rotonda, a cornicione alto) che può essere una perfetta Margherita come una più fantasiosa – ma non folle – a base di crema di verdura, fiordilatte, gorgonzola DOP, pancetta stufata artigianale e pistacchi. L’aggettivo di riferimento per le varie forme? Rispettivamente: la sofficità, la crocccantezza, la friabilità, la rustica e la tradizionale. “E’ più complicato già dall’impasto: ce ne vogliono cinque differenti. Ma cambiare, testare, assaggiare è la cosa più divertente in assoluto. Ora mi sto impegnando sul fronte vegano: c’è una grande richiesta della clientela e ha senso studiare abbinamenti inediti tra la pizza e i vegetali, penso anche ai tuberi e alle radici. L’obiettivo resta comunque lo stesso: fare in modo che la clientela trovi sempre sorprese e magari nel giro di un mese assaggi tutte le forme invece che fossilizzarsi sulla classica

Gli autori delle pizze-gourmet vengono considerati primi colpevoli di una escalation dei prezzi, che stona con la storica filosofia della pizza quale cibo povero. Bosco non svicola dal tema. “Intanto, come sempre i costi sono legati al tipo di locale, alla zona in cui si trova e soprattutto alla qualità della materia prima. Esattamente come per un normale ristorante. Nel futuro ci saranno naturalmente le pizzerie classiche e quelle con una proposta più ampia come la mia per una clientela di appassionati, felici di capire e di spendere qualche euro in più per l’esperienza. Lo hanno capito persino i colleghi del Sud, legati alla tradizione con cui mi confronto abitualmente e sempre più attenti alle novità del Nord”. Un fenomeno simile si è verificato per la cucina etnica dove l’arrivo di ristoranti al top ha aperto la “forbice” tra la massa dei locali (cinesi in particolare) e appunto le new entry di qualità. A Saporé, il risultato del grande impegno è uno scontrino medio sui 20 euro. Ben spesi. E lo si vede dalla soddisfazione dei clienti che durante e dopo il pasto discutono sulla bontà di una forma o dell’altra. Il bello della pizza, a pensarci bene, è che somiglia al calcio. Siamo (quasi) tutti grandi consumatori e ci sentiamo tutti competenti.

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