In principio è cinemaChi è colluso con l’industria del download illegale?

Forse non stupefacente ma sicuramente interessante lo studio pubblicato in queste ore relativo alla ricerca di film e trasmissioni tv da scaricare illegalmente da internet. L'ha realizzata la Moti...

Forse non stupefacente ma sicuramente interessante lo studio pubblicato in queste ore relativo alla ricerca di film e trasmissioni tv da scaricare illegalmente da internet. L’ha realizzata la Motion Picture Association (MPA), l’associazione che rappresenta i più importanti studios come 20th Century Fox, Paramount, Walt Disney, Warner Bros, Sony Pictures, Universal, e “rivela” che a svolgere un ruolo significativo sono i motori di ricerca.

Basta digitare il titolo di un qualunque film in sala in questo momento (o magari ancora da venire…) seguito dalle parole “streaming” o “torrent” e si scoprirà quanto ciò sia vero. Il 74% degli intervistati ha dichiarato di aver usato un motore di ricerca come strumento di navigazione la prima volta che è arrivato su un sito con contenuti illegali. E nella maggior parte dei casi (82%) le ricerche che hanno portato alla navigazione su siti illeciti sono state effettuate sul motore più utilizzato, cioè Google.

Il motore di ricerca, inoltre, si rivela la porta principale per la scoperta iniziale di contenuti illegali online, anche nei casi nei quali in realtà l’utente non stava cercando un contenuto pirata. Più della metà delle volte (58%), infatti, la ricerca che porta ad una piattaforma illegale parte da parole chiave rappresentate dal titolo di un film o di un programma televisivo o da frasi legate alla visione dei film e della TV online (ad esempio, “guarda film” oppure “trova programma TV”). Non include, quindi, parole chiave specifiche che hanno come scopo quello di trovare contenuti illeciti, dimostrando che i consumatori inizialmente non erano alla ricerca di contenuti pirata.

“I motori di ricerca sono incredibilmente avanzati, però continuano ad indirizzare gli utenti verso siti illeciti anche quando chi li usa è interessato a contenuti legali” – ha dichiarato Chris Marcich, Presidente e Amministratore Delegato di MPA per Europa, Medio Oriente e Africa. “Questo studio” – ha precisato Marcich – “è un richiamo critico al fatto che nessun tentativo di arginare il furto dei contenuti online sarà efficace se non ci sarà un impegno significativo da parte dei motori di ricerca. Dovranno quindi fare un passo avanti e intraprendere misure reali per fermare l’indirizzamento degli utenti verso siti illegali. Il loro algoritmo è in grado di fare molto di più e noi confidiamo in loro affinché mettano in atto e confermino i loro intenti. Gli impegni maggiormente annunciati da Google sembrano aver avuto a tutt’oggi poco riscontro”.

Come ha evidenziato lo studio di MPA, infatti, non ci sono prove che dimostrano che il cambio di algoritmo attuato da Google un anno fa con l’obiettivo di eliminare i link che conducevano ai siti illegali online abbia avuto un’incidenza reale nella riduzione del reindirizzamento ai siti illegali.

Lo share di reindirizzamento da Google ai siti inclusi nel Google Transparency Report è rimasto invariato nei tre mesi successivi all’implementazione attuata lo scorso agosto. Tra il 2010 e il 2012, rileva l’indagine della Motion Picture Association, i motori di ricerca sono stati determinanti nel 20% delle sessioni nelle quali i consumatori hanno avuto accesso a contenuti illeciti online. Parliamo di 5 miliardi di visite all’anno e 400 milioni di visite al mese per un campione stabilito di siti illegali.

“L’attuale situazione disorienta gli utenti, penalizzando il mercato del download legale e legittimando un uso illecito dei contenuti. Un’azione più incisiva dei motori di ricerca” – ha concluso Chris Marcich – “aiuterà a rendere Internet più responsabile e a promuovere uno sviluppo online e attraverso l’intero settore dell’industria creativa”.

Una situazione incontrollabile? Una deriva impossibile da fermare senza intervenire sulla “libertà” della rete? Sicuramente qualcuno di colluso c’è, la sensazione è che i grandi provider e i grandi motori di ricerca sfruttino tutto ciò facendo finta di non vedere/sapere per cosa vengono principalmente utilizzati. Che forse sia il caso di rivolgere l’attenzione verso di loro (magari chiedendo una percentuale dei loro introiti da destinare agli autori?) invece di additare sempre e soltanto il singolo utente privato?