Concordo in generale con la necessità di intervenire sulle materie oggetto dei futuri referendum, ma un’attenta lettura dei quesiti suggerisce alcune osservazioni – e un po’ di cautela.
Ritengo condivisibile il metodo scelto per il cosiddetto “divorzio breve” (eliminazione dei tre anni di attesa) e per il reato di clandestinità: con due sì, il cittadino ottiene la cancellazione di queste (assurde) previsioni.
Su altre materie mi sembra invece difficile concepire il day after senza un intervento “postumo” del Parlamento: non basta, cioè, tirare una riga su un articolo. Semmai, il referendum abrogativo può funzionare da pungolo all’attività legislativa.
Pensiamo al quesito sulla separazione delle carriere: non è sufficiente dire sì per introdurre una riforma complessa, che richiede norme di dettaglio. Il legislatore dovrà poi ridisegnare la disciplina, prevedendo per esempio accessi differenziati alle carriere di PM e di Giudice.
Ma il vero punto dolente è il referendum “contro l’abuso della custodia cautelare”, il cui scopo annunciato dai promotori è limitare la possibilità di ricorrere al carcere prima della sentenza definitiva.
A dispetto dell’invogliante slogan si tratta in verità di un intervento parziale, perché riguarda soltanto una delle tre esigenze cautelari, quella legata al rischio di reiterazione del reato (quando sussiste il concreto pericolo che il soggetto indagato commetta delitti della stessa specie). Le residue esigenze, connesse al pericolo di fuga e all’inquinamento probatorio, resteranno invariate, per cui – nonostante il referendum – potranno continuare a giustificare l’uso spesso smodato del carcere preventivo.
In secondo luogo, credo che l’attitudine a delinquere del soggetto non debba affatto scomparire dal sistema, perché rischia di depotenziare fortemente la prevenzione dei reati.
In definitiva: non si interviene come (e dove) si dovrebbe, rischiando di eliminare una previsione importante, se non irrinunciabile. La clava referendaria rischia di squassare i delicati equilibri del codice di rito.
Ulteriori perplessità suscita il quesito sugli stupefacenti: eliminando la sanzione detentiva per i fatti di lieve entità – sulla quale concordo – resterebbe in piedi quella pecuniaria. Ma quale funzione rieducativa può avere la sola multa?
Ancora dubbi sull’ergastolo: vero è che mal si concilia con la finalità rieducativa di cui all’art. 27 Cost., ma la pena massima a trent’anni di carcere potrebbe non risultare sufficientemente dissuasiva per alcuni crimini efferati (senza contare l’ulteriore decurtazione in caso di abbreviato). Per questo, sarebbe poi necessario elevare il tetto massimo di pena irrogabile; solo in questo caso non avrei dubbi a dire sì all’abrogazione.