Forse ci siamo. Forse il governo Letta non andrà oltre la prossima settimana, fermandosi a non più di 6 mesi di vita da quando, tra lo stupore per l’accordo dei due principali partiti e lo choc per un Partito Democratico che era riuscito a tradire per 101 volte il proprio fondatore, Romano Prodi, si era insediato con tanti, e forse troppi, obiettivi. Ambiziosi e variegati, quanto meno.
D’altronde in questi mesi il lavoro dei quasi mille parlamentari italiani non sarà ricordato per gli obiettivi raggiunti, né tanto meno l’accordo tra PD-PDL sarà ricordato per le riforme portate a compimento.
Ma quali erano queste riforme in cantiere? A quali compromessi da grande coalizione ambiva questo governo?
Le risposte variano a seconda del campo politico di appartenza e questo è già un segnale della confusione imperante a Roma. L’abolizione dell’IMU come ha sostenuto per tutta l’estate il PDL? Il rinvio dell’innalzamento dell’IVA? Oppure l’imprescindibile riforma della giustizia, come in questi giorni vorrebbe far credere l’esercito di B.?
La risposta non è chiara oggi, come non era chiara ieri, alla nascita di questo esecutivo di salvezza nazionale, che forse qualcuno aveva confuso con salvezza personale.
Troppi e confusi punti su cui lavorare hanno confermato, ad oggi, i dubbi e lo scetticismo che pochi nella classe dirigente del PD (su tutti Pippo Civati) e molti nella base avevano intravisto.
Sin dal progetto iniziale la grande coalizione all’italiana è apparsa come una grande insalata mista, ma invece che mixare pomodori e lattuga, ha dato l’impressione di un variegato mix di frutti e verdure, carne e pesce, pasta e polenta, il tutto ben speziato con del peperoncino di Arcore che oggi ha reso, anche per i più audaci, la portata immangiabile.
L’inesistenza di un accordo iniziale chiaro e trasparente, come è successo e succederà probabilmente in Germania, è il peccato originale di questa operazione politica. “Cosa andiamo a fare?” era il grido di Pippo Civati, candidato alla segreteria del PD ancora choccato da quello che si erano permessi alcuni colleghi di partito, se non c’è niente nero su bianco, se un partito sostiene che è prioritario abbassare le tasse sul lavoro e l’altro che va tolta l’IMU, se uno parla di riformare la legge elettorale mentre l’altro di riformare la giustizia.
Tutto imbrarazzante, tanto da sembrar tutto surreale.
Oggi, paradossalmente, le elezioni sembrano andar bene a molti che questo governo l’hanno prima voluto e poi sostenuto. Sono coloro che dentro il PD hanno paura di perdere posizioni (alcuni, ahimè, anche il lavoro!), scavalcati dall’accreditato vincitore Renzi e da colui che potrebbe essere la vera sorpresa di questa campagna congressuale: Pippo Civati.
Snobbato dai media e denigrato da alcuni compagni di partito, timorosi che ciò avvenga, il candidato brianzolo si sta sempre più assestando come la vera e nuova alternativa a Matteo Renzi. Soprattutto perchè le sue riflessioni ed analisi provengono da una sinistra moderna, capace ed intenzionata a dialogare con i movimenti e a coglierne le opportunità che essi incorporano.
Crisi che sembra andar bene anche a chi, come B., intravede la possibilità di far saltare il banco e presentarsi alle elezioni con ancora un piccolo esercito al seguito e qualche sondaggio dalla propria. Sempre che Renzi non faccia scacco matto alle future elezioni accantonando l’idea della segreteria del PD.