Sabato 7 settembre Tokio si aggiudica i giochi olimpici del 2020 ed è la prima città asiatica a fare il bis, dopo la prima esperienza nel 1964. La capitale giapponese batte Istanbul 60 a 36 , tra l’incredulità di alcuni e la commozione di altri. Ma non sarà troppo presto per cantar vittoria?
“La gioia è stata ancora più grande di quella che ho provato alla mia prima elezione” dichiara ai giornalisti il primo ministro giapponese Shinzo Abe dopo il verdetto del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) che vede Tokio aggiudicarsi i giochi olimpici del 2020. Sabato, ore 23, a Tokio tutte le telecamere sono puntate sulla folla che urla “banzai,banzai, banzai!”, che vuol dire: vittoria! Secondo i primi sondaggi effettuati sulla popolazione locale, il 90% si dice favorevole ai giochi olimpici a Tokio.
Prima che Tokio si aggiudicasse la coppa sportiva, in Turchia regnava molto ottimismo. Piazza Sultanahmet a Istanbul era gremita di gente davanti ai megaschermi che trasmettevano la notizia in diretta dall’Argentina.
Insomma, i turchi si aspettavano tra le urla di giubilo: “Istanbul 2020″! Tale ottimismo non era peraltro fuori luogo. Istanbul , candidata alle Olimpiadi per la quinta volta, non era mai stata così vicina al trofeo. “Solo” Madrid e Tokio come rivali. La Spagna in recessione economica con Barcellona anfitrione delle recenti Olimpiadi del 1992; il Giappone in ginocchio dopo il disastro ambientale di Fukushima, e sazia della sua fetta di torta mangiata nelle Olimpiadi di Tokio del 1964. Istanbul, ponte tra l’Europa e l’Asia, capitale di due imperi, sarebbe stato il primo stato di confessione musulmana ad ospitare il grande evento. In pole-position alle finalissime, ha superato Madrid. Ma le pagelle finali parlano chiaro: Tokio – Istanbul: 60- 36 voti. Alle facce incredule dei turchi in piazza Sultanhamet si sono aggiunti gli sberleffi sui social media.Tanto meravigliato non è sembrato Egemen Bagis, il ministro turco per le relazioni con l’UE. Taksim, Gezi, manifestazioni che riprendono piede violentemente in questi giorni.. Insomma la Turchia non era il luogo “politicamente corretto” per ospitare le Olimpiadi.
Perché i giochi olimpici, com’è noto, non rappresentano solo il “momentum” sportivo di orgoglio per gli atleti e la città che li ospita, ma a volte si trasformano in casi politici e altre in veri e propri “casus belli”. Ne sa qualcosa Putin il quale nel 2007-dopo che Sochi si è aggiudicata i giochi olimpici invernali del 2014- dichiarò: “Questo non vuol dire solo che l’eccellenza sportiva della Russia sia stata riconosciuta, ma anche che la Russia sia stata riconosciuta come Paese”. Anche in quel caso il 90% dell’opinione pubblica russa aveva accolto con favore l’evento. Il budget previsto era di circa 12 miliardi di dollari. Ad oggi, la spesa si aggira a più di 50 miliardi, metà dei quali persi nei vicoli ciechi della corruzione. Per non parlare delle preoccupazioni morali, ad esempio delle polemiche che la nuova legislazione russa anti-gay potrebbe scaturire tra turisti e atleti.
Storia simile, quando nel 2009 Rio de Janeiro si è aggiudicata i giochi olimpici estivi del 2016 con il presidente Lula da Silva in lacrime: “Dal profondo del mio cuore, vorrei dire che questo è stato il giorno più emozionante della mia vita. Rio lo merita. Il Brasile lo merita“. Allora, quasi il 70% dei brasiliani si diceva favorevole all’evento, i cui costi erano stati stimati attorno ai 14 miliardi di dollari. Sempre in Brasile, quattro anni dopo il bilancio è stato rivisto nei suoi costi aggiuntivi di almeno settecento milioni di dollari. Quest’estate, quasi un milione e mezzo di brasiliani sono scesi in piazza per protestare contro le politiche economiche del governo Lula, contro le spese scellerate per ospitare i giochi estivi del 2016 e la Coppa del Mondo del 2014 (con il suo cartellino non scontato di ben tredici milioni di dollari). Prova che anche lo “sport” può diventare l’obiettivo centrale dell’indignazione.
Certamente né Sochi ne Rio sono cause perse. I Giochi si svolgeranno nei tempi previsti e, a meno che non accada qualcosa di sconvolgente, andranno avanti come prestabilito. Tuttavia, entrambi i casi di mala-amministrazione hanno contribuito all’inasprimento della percezione pubblica sull’utilità civica nell’ospitare le Olimpiadi. Studi su studi riguardo la materia hanno già dimostrato che nell’analisi costi-benefici le Olimpiadi raramente contribuiscono ad un aumento in termini di benessere economico a lungo termine per le città ospitanti. Nel migliore dei casi si raggiunge solo un pareggio nel binomio spesa-introiti. Anche l’incremento a dismisura del turismo è spesso un dato sovrastimato. In certi casi, come in quello brasiliano, si può parlare addirittura di danni. O di beffe, nel caso della mancata vittoria turca.
Dal canto suo, Tokio si appresta ad ideare un modello di Olimpiadi più sobrio, modesto e -come si direbbe col termine che va così di moda- sostenibile. Il Comitato Olimpico Internazionale ha segnalato infatti il desiderio di allontanarsi da un tipo di evento sgargiante-nazionalistico (vedi Pechino 2008 e Londra 2012).
Nel frattempo, il 2020 è ancora molto lontano, e ci sono punti di domanda irrisolti. Il dato più preoccupante è l’eventuale ricaduta ambientale a seguito del disastro nucleare di Fukushima. Il primo ministro Abe ha promesso che la fuoriuscita di acqua radioattiva dal sito non rappresenti alcun pericolo per Tokio, i suoi futuri atleti e i suoi potenziali visitatori nei sette anni a venire.
Ma le sfide sono tante. Per adesso la scuola di pensiero maggioritaria è quella de “si a Olimpiadi modeste, no allo sfarzo”. In altri termini, uno spettacolo internazionale modesto abbastanza da permettere che siano le Olimpiadi ad adattarsi alla città e non la città a dover essere disegnata a misura di Olimpiadi.
La lezione dell’ultima settimana è che ci sono vincitori (Tokio) e vinti (Istanbul).
Tuttavia, visti i cattivi modelli di amministrazione (Sochi) e considerati gli effetti imprevisti della politicizzazione dei grandi eventi sportivi (Rio), è sempre meglio non cantare vittoria troppo in fretta. Per dirla in “giapponese”: Mai dire BANZAI!