Silvio Berlusconi parlerà domani. L’atteso videomessaggio del leader del Pdl è atteso nel pomeriggio, prima che la giunta per le elezioni del Senato voti la relazione sulla sua decadenza. Una videocassetta cancellata e registrata più volte, raccontano i bene informati. In cui l’ex premier dovrebbe annunciare il ritorno di Forza Italia, assicurando lealtà al governo Letta. Ma anche, ipotizza qualcuno, prendendo posizione sull’ipotesi delle sue dimissioni. Uno snodo fondamentale della legislatura, insomma. Peccato che non tutti siano interessati a conoscerne il contenuto.
Mentre le política attende con ansia le parole del Cavaliere, qualcuno chiede di oscurare il videomessaggio. Voci controcorrente, non c’è dubbio. Come quella del blogger del Popolo Viola Gianfranco Mascia, che questo pomeriggio ha chiesto di incontrare il dg della Rai Luigi Gubitosi per consegnare a Viale Mazzini oltre 120mila firme. Sono il risultato di una petizione organizzata per bloccare la pubblicazione del video del Cavaliere. Questo il duro comunicato di Mascia. «L’Agcom – l’Autorità di garanzia del settore – voglia avvertire subito i dirigenti della Rai che si preparino a rispedire al mittente la “videocassetta” che, si dice, il pregiudicato Berlusconi avrebbe già pronta. In quanto non esiste obbligo alla trasmissione del messaggio, perché tale obbligo vale solo quando si tratti di messaggi di pubblica utilità e la richiesta arrivi dalle principali cariche istituzionali».
E sempre di interesse pubblico parla il segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero. Anche lui in prima linea per “oscurare” l’attesa nota del Cavaliere. «Il caso del videomessaggio di Berlusconi – le parole dell’ex ministro – è l’ennesima, vergognosa, puntata di una saga che solo in Italia è possibile. La Rai faccia il suo lavoro di servizio pubblico e non trasmetta il video, nel caso in cui domani il leader del Pdl decidesse di mandare a reti unificate la sua autodifesa. Berlusconi è stato condannato, come tale deve stare fuori dal Parlamento e non ha diritto a trasformare la televisione pubblica nel suo ufficio di pubblicità distorta».