Sergei Sobyanin ha vinto al primo turno le elezioni amministrative a Mosca. Il sindaco uscente, fedelissimo del presidente Vladimir Putin, ha raggiunto oltre il 51% dei voti, relegando al 2° posto con circa il 27% Alexei Navalny, sostenuto dal blocco Rpr Parnas guidato da vecchie conoscenze come Boris Nemtosv, Vladimir Ryzhkov e Mikhail Kasyanov, ex primo ministro detto Misha 5% (la percentuale che si diceva incassasse sulle tangenti ai tempi della presidenza di Boris Eltsin). Terzo si è piazzato il comunista Ivan Melnikov che ha passato di poco il 10%, seguito da Sergei Mitrokin di Yabloko, dal socialista Nikolai Levichev e dal nazionalista Mikhail Degtyaryov che hanno raccolto tra il 2% e il 3%.
Al di là delle denunce di brogli, ci sono 2 dati a prima vista sorprendenti guardando le percentuali: 1) il risultato di Navalny, dato che i sondaggi della vigilia (agosto e settembre) gli attribuivano da un minimo di 8,5% a un massimo di 14,2%; 2) l’affluenza alle urne, poco oltre il 30%, con in sostanza 2 moscoviti su 3 che si sono astenuti dal voto.
Il risultato di Sobyanin, che era dato tra il minimo del 37,6% e il massimo del 55% – tenendo sempre in considerazione i sondaggi fatti su tutto il corpo elettorale, non solo su coloro che alla vigilia avevano già deciso chi votare – era dunque tutto sommato previsto. Non così quello dei comunisti, con Melnikov dato tra il 3% e il 7%, che alla fine ha raddoppiato, come Navalny, la percentuale dei consensi.
Passando però dalle percentuali ai numeri reali il quadro cambia. Gli aventi diritto al voto erano circa 7,2 milioni ma appena 2,3 milioni di persone hanno votato. Sobyanin ha ottenuto 1.185.000 voti, Navalny 630 mila, Melnikov 247 mila. Confrontando questi dati con i sondaggi prima del voto, si osserva come tutti siano finiti abbondantemente sotto le loro possibilità, considerando anche solo un’affluenza alle urne del 50%. Raffrontando inoltre il voto di ieri con quello delle presidenziali del marzo 2012, la differenza è enorme: Vladimir Putin (che aveva ottenuto il 47%), aveva raccolto circa 2 milioni di voti, l’oligarca Mikhail Prokhorov (20%) 870 mila, il comunista Gennady Zyuganov (19%) 820 mila.
Anche se non si possono ovviamente paragonare le presidenziali con le amministrative, i dati sono utili per capire come la scarsa affluenza alle urne abbia condizionato il risultato finale e le percentuali elevate raggiunte dalle ali estreme. La capacità di mobilitazione dei candidati alla poltrona di sindaco è stata estremamente scarsa: ciò vale per il vincitore Sobyanin, ma anche per tutti gli altri. A partire dallo stesso Navalny, cui i sondaggi della vigilia davano un potenziale massimo di oltre un milione di votanti e che invece ne ha raggiunti solo i due terzi. La realtà è dunque che sia l’uomo di Vladimir Putin che il blogger anticorruzione caro al popolo di Internet sono stati bocciati da quasi il 70% dell’elettorato (circa 5 milioni di persone) che se ne è rimasto a casa, rifiutandosi di votare. Segnale pericoloso per il Cremlino e non certo entusiasmante per Navalny, rimasto numericamente sotto le aspettative e autore percentualmente di una performance proporzionalmente identica a quella del comunista Melnikov.
Da questo punto vista l’opposizione extraparlamentare (alla Navalny, visto che comunisti e nazionalisti siedono comunque in parlamento) ha ancora una strada lunga davanti a sé, sia a Mosca sia su scala nazionale. Il sistema Putin-Sobyanin ha dimostrato stanchezza, ma ha tenuto; gli antiputiniani hanno comunque tutto il tempo per organizzarsi per le prossime elezioni (nel 2016 le parlamentari, nel 2018 le presidenziali).
Il rischio, nonostante l’entusiasmo che Navalny ha suscitato sui mainstream media occidentali abituati a dipingere martiri ed eroi su tele dove la maggior parte dei russi vede solo pasticci, è che l’elettorato non impari ad affidarsi ai meccanismi democratici e – anche quando ne ha la possibilità – non faccia sentire la propria voce, rimanendo inerte. Navalny ha preso domenica 200 mila voti in meno di quanti non ne aveva ottenuti Prokhorov poco più di un anno fa. Non un gran risultato, se si hanno progetti ambiziosi, oltre alla spada di Damocle di dover scontare una condanna a 5 anni di galera.
Il Cremlino da parte sua non può certo dormire sonni tranquilli in eterno, anche se al momento le questioni interne causano certo meno problemi di quelle sulla scacchiera internazionale. Vladimir Putin dovrà cambiare strategia anche in casa propria se vorrà mantenere il consenso senza ricorrere a ulteriori involuzioni e senza dover sperare solo nelle debolezze dei suoi potenziali rivali.