ROMA – Che sia un appuntamento da non perdere lo si comprende dalla location e dal parterre. Perché trovare attorno allo stesso tavolo Walter Veltroni, primo segretario della storia del Pd, e Matteo Renzi, probabilmente il futuro segretario-leader dei democratici, non è affatto una normalità. Tutto ciò accade, come dicevamo, in una location «suggestiva», il Tempio di Adriano. Siamo a Piazza di Pietra, a pochi metri da Montecitorio, e la location è «suggestiva» perché lì “Walter” lanciò la candidatura alle primarie, e sempre lì “Walter” rassegnò le dimissioni da segretario del Pd, dopo la sconfitta alle regionali in Sardegna.
Eppure questa volta è “Matteo” il protagonista che si prende la scena. Quando varca l’ingresso del Tempio di Adriano, i riflettori sono tutti per lui. Cravatta grigia, camicia bianca, abito blue, “Matteo” scansa i cronisti, e si dirige verso la tavola rotonda. Ad attenderlo l’ex segretario dei democratici, Veltroni, Giorgio Tonini, autore di un libro sul futuro dei democratici insieme ad Enrico Morando, e infine il direttore del tgla7 Enrico Mentana. Prima di iniziare il dibattito fra le foto di rito ce n’è una che di certo rappresenta il passaggio del testimone. Matteo e Walter in posa, e i fotografi ad immortalarli. È la foto del giorno, una foto che di certo segna l’inizio della campagna elettorale in vista del congresso.
Del resto non è un caso che Renzi e Veltroni siano oggi lì, l’uno accanto all’altro. Perché «ci unisce un’idea di fondo che questo Paese debba avere un partito democratico riformista», spiega l’ex sindaco di Roma. Un partito che «sarebbe dovuto nascere all’indomani delle elezioni del 1996». Ma non è stato possibile – afferma Veltroni – perché «il partito è attraversato da un male profondo, le correnti». Annuiscono i renziani in sala. Nella folla si scorgono, la fedelissima del sindaco di Firenze Simona Bonafé, il siciliano Davide Faraone, l’aretina Maria Elena Boschi, e poi tutto i veltroniani «duri e puri» come Walter Verini, Paolo Gentiloni, Ermete Realacci. In realtà fra le tante facce presenti ci si imbatte anche in «curiosi», chiamiamoli così, come il democratico Angelo Capodicasa, che di certo non si può annoverare né fra i renziani, né tanto meno fra i veltroniani, o nella portavoce di Rosi Bindi che cerca di non farsi vedere dai cronisti. Oppure fra i presenti si annovera la presenza di un montezemoliano in avvicinamento alla galassia del sindaco di Firenze come Andrea Romano. Infatti, non è un caso che proprio Veltroni dica: «Gli elettori si muovono rapidamente, non esistono elettori di proprietà. Alle ultime elezioni il centrosinistra ha perso più di 3 milioni di voti, ma anche il centrodestra ha perso oltre sei milioni di consensi». Ecco perché l’ex sindaco di Roma rimarca l’idea di un Pd «aperto» dove «la parola “cambiamento” sia la parola chiave della vocazione maggioritaria». E in questo contesto, è il ragionamento di Veltroni, l’unico in grado di incarnare «questa idea di Pd» si chiama Matteo Renzi. Infatti il primo segretario del Pd si augura che «proprio da qui cominci una storia nuova per il partito democratico, non perdendo di vista la ragione per la quale è nato il Pd: conquistare il consenso della maggioranza degli italiani».
A questo punto “Walter” passa la parola a “Matteo”. La sala è sospesa, aspetta che il sindaco di Firenze prenda il microfono in mano per diffondere il verbo renziano. Enrico Mentana, in qualità di moderatore, lo stuzzica: «Cosa c’è di Veltroni in Renzi?». “Matteo” non perde tempo e dice: «Il Pd nasce con il discorso di Walter Veltroni al Lingotto. Il Pd deve a Walter questa immensa scommessa. Ed è stato quando Veltroni nel 1996 ha scritto un libro su Bob Kennedy che mi sono avvicinato alla politica». Renzi utilizza la parola «cambiamento» evocata da Veltroni in fondo al discorso perché «il Pd non può essere un partito pesante che porta i risultati leggeri», chiaro riferimento alla gestione bersaniana dal 2009 al febbraio scorso. Matteo, come ripete dal 2007 Veltroni, preferisce «una vocazione maggioritaria a una minoritaria». Insomma sembra di sentire l’ex sindaco di Roma, ma le parole e la voce sono quelle dell’attuale sindaco di Firenze. Anche se Veltroni lo avverte: «Da questo congresso mi piacerebbe che venisse fuori l’idea di una nuova sinistra». E sopratutto, conclude Veltroni, « al congresso ci si confronti e si discuta di politica». Non di regole, forse preferisce non dire Veltroni.
Twitter: @GiuseppeFalci