Vivere liberiIl Vajont e la nazione del disonore

Da piccolo mi portavano a fare le vacanze sulle Dolomiti, andavamo in macchina e passavamo sempre per Longarone. Te ne accorgevi subito quando ci arrivavi perché le case sono recenti, quasi tutte d...

Da piccolo mi portavano a fare le vacanze sulle Dolomiti, andavamo in macchina e passavamo sempre per Longarone. Te ne accorgevi subito quando ci arrivavi perché le case sono recenti, quasi tutte di cemento e quasi nessuna di legno, non come quelle degli altri paesini del Cadore.

Ogni volta Papà mi indicava dal finestrino la diga che ancora domina tutta la vallata. Io guardavo quel lastrone grigio incastonato tra le montagne e mi chiedevo come mai quel paesino e quella diga fossero così tanto importanti.

La prima volta che andai in montagna con la mia macchina e la mia patente rosa appena stampata decisi di andare a visitarla. Quando arrivai là pensavo di trovare delle macerie invece scoprii che la diga è rimasta praticamente intatta. Non tutti sanno che la diga era stata costruita a regola d’arte, anzi all’epoca era la più alta del mondo e un vanto per l’Italia, e che la tragedia fu causata da un pezzo del monte Toc che riversandosi nel bacino artificiale provocò un’onda anomala che superò la diga e si abbatté sui 2000 longaronesi che da quella sera non lasciarono mai più la valle.

Vajont – La diga del disonore si intitola l’intensissimo film di Martinelli su una delle tante tragedie italiane legate ai lavori pubblici. Un settore che da sempre ha attirato personaggi senza scrupoli che per le loro scalate sociali hanno sacrificato vite umane senza guardare in faccia a nessuno.

Gli ideatori del progetto, gli ingegneri Carlo Semenza, Alberico Biadene e Mario Pancini, conoscevano benissimo i rischi geologici del monte Toc, erano stati avvisati dai geologi Giorgio Dal Piaz, considerato all’epoca il massimo esperto al mondo delle Alpi Dolomitiche, e da Edoardo Semenza, figlio dell’ideatore del progetto nonché discepolo di Dal Piaz.

Tina Merlin dell’Unità non fece altro che scrivere di questo nei suoi articoli per anni interi.

Il pezzo che si staccò dal monte Toc poggiava su un sottile strato argilloso. Quando la diga fu completata e cominciarono a riempire l’invaso, lo strato argilloso entrò in contatto con l’acqua e l’unico appiglio della montagna alla terraferma si sciolse provocando l’onda che si portò via 2000 italiani.

Seguirono anni di processi, appelli e perizie volte a dimostrare quello che già sapevano tutti quanti ancora prima che la diga fosse collaudata e cioè che il Toc era a rischio frana e che il progetto doveva essere abortito.

Quante persone morirono nel disastro? 1918. Quante persone finirono in carcere? Nessuna. Quanti anni di prigione furono sentenziati per punire chi sapeva e non ha fatto niente? Nessuno.

Questa è la maledizione che si porteranno per sempre appresso i colpevoli: ricordare ogni anno i morti che hanno sulla coscienza.

Ma questo è anche il disonore di una nazione intera: un Paese che non ha visto, non ha voluto vedere o non gliene importava niente di quei 4 montanari di un paesino sperduto in mezzo alle Dolomiti. Uno Stato in cui gli imprenditori sono al di sopra della legge e possono corrompere, falsare, evadere e delinquere senza che gli venga torto un capello.

Ma se la giustizia non punisce i criminali, mandandoli in galera subito e per molto tempo, perché gli onesti dovrebbero rispettare le leggi?

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