Se per Ilvo Diamanti il Nordest non c’è più, per Paolo Feltrin, invece, non è mai esistito. E’ stato un’invenzione ad arte. I tasselli deboli di questa macroarea erano e sono il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino-Alto Adige, regioni con statuti autonomi ma con propensioni imprenditoriali ben diverse dall’ordinario veneto. Esclusa l’area di Pordenone, s’intende. E la sedia di Manzano, oggi pesantemente in crisi.
Ebbene capita che proprio Feltrin dia alla luce in questi giorni un inedito rapporto dove si traccia una nuova geografia socio-economica dell’Italia col segno più, racchiusa nel triangolo d’oro: Milano-Bologna-Venezia. E’ una mappa colorata di puntini rossi (scaricabile dal sito Tolomeo Studi e Ricerche) che segue percentuali e indici (raccolti in questi anni di crisi) e si dimentica delle amministrazioni. Una mappa che non ha bisogno di province (intese come enti), vive le Regioni come un freno (perché le politiche sono divise dai confini e quindi diverse, se non conflittuali) e gode di poche strategie comuni.
Torino, in questo disegno, resta una metropoli isolata. Di grande sviluppo demografico e benessere ma nucleica. Senza collegamenti verso Milano. Così come restano tagliati fuori il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino Alto Adige. Milano-Bologna e Venezia sono invece un unicum continuo collegato dalle infrastrutture e dalle cosiddette «province cerniera» ovvero quelle aree-città, comprese tra questi tre poli, che sono al centro dello sviluppo ma ancora con un ruolo marginale.
Primo assioma del rapporto: dove ci sono persone c’è sviluppo. E’ chiaro, le persone si spostano dove c’è lavoro. E i territori che raggiungono oggi il massimo popolamento della storia sono: il corridoio Milano-Bergamo, il Veneto centrale (Verona-Vicenza-Padova) verso Pordenone, la via Emilia fino ad Ancona, Torino (ma solo nell’area metropolitana), Bolzano verso l’asse del Brennero e l’area Firenze-Livorno. A Nord la crescita corrisponde all’asse dell’ex Corridoio V, sopra il Po, e lungo quello Reggio-Modena sotto il Po.
I nodi, dunque, sono: Reggio-Modena-Carpi, Milano-Bergamo, Verona Ovest-Brescia Est-Mantova-Brennero, Bologna, Venezia-Padova-Treviso, Ravenna-Forlì-Rimini. Ad eccezione di Bolzano (che gode di buona salute grazie allo sbocco del Brennero) lo sviluppo è ben lontano dalle Alpi e dagli Appennini. Ma trova nel Po una barriera naturale ancora da valicare perché Lodi, Cremona, Ferrara e Rovigo restano impaludate.
A un’analisi socio-economica di questo triangolo, si nota che Milano, Modena, Bologna e Mantova hanno un indice di ricchezza pro-capite superiore alla media (34mila a Milano con una media Italia di 23mila circa e una media Triangolo d’oro di 29mila). In generale quasi tutte le province (escluse Rovigo e Ferrara) hanno accresciuto la loro ricchezza pro-capite negli ultimi dieci anni. Quanto agli indicatori di apertura commerciale Vicenza è la città top della classifica nel rapporto export/valore aggiunto, seguita da Reggio Emilia, Modena e Mantova. Gli indicatori del mercato del lavoro confermano invece Modena, Parma e Bologna in cima per tasso di occupazione 15-64 anni. Forte in questo triangolo anche il tasso di terziarizzazione a cui corrisponde una diminuzione della quota di addetti nell’industria in senso stretto.
Le conclusioni sono abbastanza ovvie: dato che lo sviluppo degli ultimi trent’anni ha visto allargarsi il numero di comuni che hanno aumentato il proprio benessere lungo questo triangolo, è indispensabile per tutte le altre aree qui comprese, attorno ai nodi pulsanti, uscire dalla marginalità e non perdere il futuro treno della ripresa che passerà per quest’area. Ma bisognerà scavalcare i confini amministrativi… ne saremo capaci?