La vicenda delle dimissioni di Monti, esito finale di una crisi che covava da mesi, al di là dei commenti perfino troppo facili sull’ingenuità e la petulanza del professore, capace di far naufragare la sua reputazione in poche battute, suggerisce alcune interessanti considerazioni sulla cultura politica del bipolarismo italiano.
Scelta civica era una zattera un po’ rimediata che dopo pochi mesi sta per frantumarsi sulle scogliere dello strano bipolarismo all’italiana. Oggi risulta chiaro ciò che alcuni avevano già intuito allora.
Sulla zattera della nuova formazione politica si erano messi in salvo, da una parte, i profughi del Partito democratico (direi, più ampiamente, della cultura democratica), quelli che avevano aperto un confronto per l’affermazione di politiche di modernizzazione nella sinistra e del Paese. Al centro erano le riforme: delle istituzioni, della Pubblica Amministrazione, del lavoro. L’obiettivo era quello di far ripartire l’Italia, in una prospettiva apertamente europeistica: politiche di contenimento della spesa dello Stato, liberalizzazioni di servizi pubblici e professionali, diminuzione della pressione fiscale, superamento delle rigidità del mercato del lavoro, aumento delle tutele dei consumatori e degli utenti, maggiore sussidiarietà orizzontale nelle politiche pubbliche, valutazione e accountability delle PP.AA.
Questa prospettiva di sviluppo era stata sostanzialmente espulsa dal Pd di Bersani dopo il risultato delle primarie. Alcuni si sono inabissati in attesa di riemergere. Altri hanno trovato altri rifugi. Alcuni hanno scelto di salire sulla zattera di Monti.
Dall’altra parte, un’operazione simile hanno fatto alcuni residui del centro e della destra. Sono arrivati dall’Udc e da Fli soggetti uniti dalla critica verso Berlusconi, ma sostanzialmente alieni da prospettive di riformismo e di modernizzazione del paese. Più di tutti i post e i neo democristiani come Casini e Mauro, veri e propri cavalli di troia del più classico moderatismo.
Il voto degli elettori era stato limpido: Udc e Fli fagocitati dal nuovo soggetto significavano un orientamento preciso degli elettori verso posizioni liberali e riformiste. Oggi – mentre Monti si attarda ad inseguire le sirene del Partito popolare europeo, mostrando di non aver compreso bene l’unico senso che poteva avere quell’operazione – il fronte moderato rialza la testa, si svela e chiede il conto cercando di forzare l’Italia al passo del gambero: un centro trasformista e immobile, vagamente ispirato ad un popolarismo sbiadito, che si tiene il Cavaliere come padre nobile, torna a civettare con i suoi cortigiani e cerca di occupare quel luogo di mezzo utile per mettere all’angolo ogni speranza di ripresa. Tutto questo in barba agli elettori, che ormai da un paio di decenni hanno mostrato di apprezzare la declinazione bipolare del sistema politico, e con il totale disprezzo del termine ‘civico’, un vero e proprio abuso di senso e di significato che oggi si rivela in tutta la sua arroganza.
Il naufragio di Scelta civica, però, può ancora trasformarsi in una opportunità. Non soltanto, ovviamente, perché ci permette di salutare senza troppe nostalgie quei frammenti di zattera destinati a giocarsi una partita assai tosta con i ‘berlusconidi’. Ma soprattutto perché consente di riaccogliere quelle persone, quei temi e quell’agenda riformista che la segreteria di Bersani aveva sterilizzato. L’operazione non è facile però, come sappiamo. Non soltanto per le resistenze delle parti più conservatrici della sinistra. Anche chi oggi si fa promotore del cambiamento dovrà stare bene all’erta per evitare l’ennesimo naufragio.
(Questo articolo è tratto da Qdrmagazine del 22 ottobre)
@vittorioferla