Selam è un bel ristorante etiope di Milano, nel cuore di Porta Venezia. Nella sala principale, tra i tavolini bassi e i vassoi decorati per servire lo zighinì, ieri sera eravamo sei ragazzi: tutti italiani, alcuni anche un po’ etiopi, altri anche un po’ eritrei. Il giorno dopo la tragedia di Lampedusa, questi ragazzi di seconda generazione hanno sentito l’esigenza di convocarsi e pensare ad una manifestazione per ricordare le vittime degli sbarchi, e per non lasciare soli i connazionali sopravvissuti alla tragedua. Nelle stesse ore, alcuni tra i loro genitori, arrivati in città dagli anni Settanta per sfuggire alla guerriglia, hanno deciso di stare insieme per un momento di preghiera, o semplicemente di commento. Impossibile non immaginare che la memoria abbia fatto capolino molti anni prima, ai loro viaggi avventurosi, al carico di speranze verso il paese che poteva accoglierli dopo aver colonizzato cultura e terra dei padri. Nel 2013, questo scarto generazionale offre un punto di vista nuovo sulla tragedia di Lampedusa. Questi ragazzi hanno un’identità divisa: hanno una forte cadenza milanese ma parlano benissimo tigrino, che usano soprattutto in famiglia, come lingua dei sentimenti. Sono perfettamente integrati in Italia ma qui il colore della pelle, per qualcuno, può ancora rappresentare una differenza. E cosi si trovano a raccontare Lampedusa come un problema globale, non solo italiano o africano. “Lampedusa è il primo pezzo di mondo migliore che un migrante può incontrare: etiope, eritreo, libico, di qualunque paese africano, siriano” mi dice Iosep, 28 anni, intercalare milanesissimo appoggiato su una cresta da calciatore e un mestiere da fabbro. “L’Italia non è più la meta privilegiata di arrivo, spesso è solo la porta d’Europa, poi si cerca di andare molto più a nord”. “Per questo abbiamo pensato di convocare tutte le seconde generazioni, senza distinzione” racconta Agazit, 28 anni, che lavora nella moda e si sta occupando dell’organizzazione della manifestazione “senza distinzioni di nazionalità d’origine. La questione è globale, riguarda soprattutto noi come italiani, che per primi dovremmo immaginare un cambiamento, che parta da qui”. A me vengono in mente, per esempio, la cancellazione del reato di immigrazione, e anche una piccola rivoluzionaria riforma della giustizia che possa consentire –in base ad un semplice principio di umanità- che chi interviene con la propria barca per soccorrere i migranti non possa essere accusato di complicità con gli scafisti. Succede anche questo, nel nostro codice penale, altro che ius soli. La parola “dittatura”, alla voce “ragioni per scappare”, resta quasi sullo sfondo. I ragazzi ci tengono molto a dare un’idea costruttiva, propositiva, globale della manifestazione. Il rischio -mi pare- sarebbe quello di confinare la questione a scacchieri geo-politici lontani. Qui di Eritrea ed Etiopia si conosce pochissimo e –spente le luci su Lampedusa- c’è il rischio che di quei paesi si torni a parlare solo alla prossima tragedia. La posta in gioco, insomma, è decisamente più ampia e riguarda tutto il tema dell’immigrazione, del diritto alla ricerca di una vita migliore, della sconfitta a miseria, guerre e ingiustizie. La manifestazione sarà settimana ventura; forse non il 12 Ottobre, come si era immaginato, per evitare sovrapposizioni con le iniziative in difesa della costituzione. Sarà interessante vedere chi scenderà in piazza; se oltre a questi ragazzi, e agli italiani più sensibili al tema, ci saranno anche altri migranti, non necessariamente africani, arrivati non solo in maniera avventurosa. Mi sembra un bel pensiero, anche perché Selam, che è il nome del ristorante ma anche di una bella idea, in tigrino continua a voler dire “pace”.
Ps. Daniel, il giovane proprietario del ristorante, tiene a precisare che oltre allo zighinì ci sono molte altre ricette della tradizione etiope ed eritrea. Accenna in particolare ad un altro piatto a base di carne, che viene servita cruda o appena scottata, con verdure piccanti e accompagnata da un burro molto profumato che arriva direttamente dall’Africa. Gradiente di speziatura assoluto. Non ho avuto la prontezza di segnarmi il nome sul taccuino, le mani erano completamente impregnate di zighinì e il piatto (il secondo) era ancora mezzo pieno. Vi faccio sapere la prossima volta.
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