Ieri è stato il 70° anniversario della Deportazione del Ghetto di Roma, avvenuta il 16 Ottobre del 1943. Dopo oltre 1,200 arresti su una popolazione di 10-15,000 persone, oltre 1,000 persone furono deportate ad Auschwitz, da cui uscirono vive soltanto in 16. Non furono le sole vittime nella comunità romana, visto che anche per via dei collaborazionisti e dei delatori le deportazioni continuarono fino all’arrivo degli americani.
Nonostante sia soltanto una piccola frazione del totale di sei milioni di vittime, è estremamente difficile visualizzare una tale tragedia, ad esempio leggendo i nomi delle vittime sul Muro del Deportato, che è vicino casa mia e di cui ho ignorato l’esistenza fino a l’altro ieri.
La mente umana smette di ragionare per individui per numeri superiori a poche decine. Libri come “In quelle tenebre” di Gitta Sereny, “L’inferno di Treblinka” di Vasilij Grossman o “Gli anni rubati” di Settimia Spizzichino colpiscono perché permettono di visualizzare la singola persona, superando le naturali limitazioni cognitive che ci impediscono di dare un nome e un volto ad ogni essere umano in un gruppo di centinaia di persone.
Lunedì, guardando il documentario “Oro macht frei” al Teatro Vittoria, realizzato con la collaborazione delle mie amiche Sara e Rivka, ho avuto modo di riflettere.
La mia generazione ha ancora potuto conoscere dei deportati, alcuni presenti alla proiezione: donne e uomini sopravvissuti ad Auschwitz o altri campi di sterminio. La prossima probabilmente no, dato che sarà passato oltre un secolo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
C’è un modo però per non soccombere all’errore cognitivo dei grandi numeri, alla lontananza storica degli eventi, e alla difficoltà di accettare l’idea stessa che il Male possa essere stato così forte nella storia umana: molti miei amici sono potuti nascere perché una nonna o un padre riuscirono a scampare, spesso per il rotto della cuffia, a personaggi ignobili come Erich Priebke.
Milioni di persone sono morte e centinaia di milioni non sono mai nate per colpa della barbarie nazista: coloro che sono potute nascere saranno però sempre tra noi, in qualità di figli, nipoti e pronipoti degli scampati. Ed è una fortuna a cui partecipo anch’io, avendo l’opportunità di conoscerle, parlarci o abbracciarle, o anche solo di avere gli occhi umidi di felicità al pensiero di questo dono.
Pietro Monsurrò
@pietrom79