Il dibattito intorno all’operazione Telefonica-Telecom Italia ha scatenato nel nostro paese alcune riflessioni ad ampio spettro. Molte delle motivazioni contro questa operazione tralasciano tuttavia aperti aspetti importanti che meriterebbero un maggiore approfondimento. In questo quadro è necessario provare a riassumerle per analizzarne le diverse implicazioni senza farsi guidare alcune volte da superficialità, altre da una mancanza di visione più generale.
Provo a riassumere alcune argomentazioni per cercare di offrire un contributo di riflessione a favore di una operazione che solo apparentemente è sfavorevole alla Telecom Itala.
Progetto industriale
Anzitutto va detto che Telecom Italia non è più il vecchio gigante di una volta, soprattutto ha perso proprio i gioielli che ne facevano un asset strategico per il Paese (si veda più avanti). Almeno i gioielli industriali. Dunque la compagnia si presenta come un normale operatore di telecomunicazioni e in quanto tale va valutata.
L’operazione Vodafone-Verizon ha messo in evidenza al grande pubblico che nel mondo è in atto una fase di consolidamento di operatori di telecomunicazione. L’AT&T e Carlo Slim, i cinesi e i russi sono anni che hanno avviato questa operazione. D’altra parte il business delle telecomunicazioni non è più così profittevole come dieci anni fa e tenderà ad avere margini decrescenti, in queste condizioni solo una efficiente economia di scala e un buona innovazione di prodotto e di servizio può garantire il mantenimento di margini adeguati.
A livello internazionale i mercati più profittevoli sono quelli in via di sviluppo, sia per la prolungata crisi della domanda che vive l’eurozona (anche dove la fibra è presente la domanda di abbonamenti rimane spesso inadeguata a giustificare gli investimenti) sia perché in alcuni casi i mercati sono vicini alla saturazione e la concorrenza è più forte.
In questo quadro Telecom Italia avrebbe già dovuto mettere in cantiere da tempo una alleanza-fusione con qualche operatore di telecomunicazione almeno europeo che ne aprisse maggiormente i confini e consolidasse le sue posizioni. Da questo punto di vista è molto meglio una fusione con Telefonica che con i tedeschi o i francesi, il governo italiano può meglio gestire una alleanza di questa natura.
Telefonica ha dimostrato di essere una struttura efficiente dal punto organizzativo e di sapersi muovere con capacità, ha un Paese che la supporta e capacità di penetrare in mercati interessanti. Dal punto industriale è stata capace di affermarsi in mercati emergenti e in quelli europei. Attualmente opera con O2 in UK, germania, slovacchia, Irlanda e in molti mercati europei, in tutto il latinoamerica dove è leader in molti paesi.
Telefonica e Telecom Italia possono costituire un operatore in grado di concentrarsi sia in America Latina (contrapponendosi meglio alla concorrenza dei messicani) sia fare un progetto di sviluppo nel bacino del mediterraneo dove le buone relazioni che i due governi hanno, in particolare quello italiano, possono facilitare. Telecom italia ha già una presenza nel bacino del mediteraneo dalla Turchia alla Grecia a molti paesi del maghreb.
Chi pensasse che la vendita di Telecom sia evitabile non ha chiaro come si stanno muovendo le dinamiche di mercato a livello globale. In questa fase di consolidamento mondiale degli operatori è importantissimo acquisire velocemente posizioni di mercato nei mercati con maggiore crescita o di maggiore valore perché tra qualche anno o si è tra i leader o si è morti.
Dal punto di vista dei costi la fusione consentirebbe di fare economie di scala notevoli negli acquisti o nella gestione dei servizi, questo consentirebbe di ridurre i costi liberando risorse sugli investimenti. I due gruppi si muovo su mercati fortemente geolocalizzati e solo parzialmente in sovrapposizione per cui potrebbero facilmente integrare le strutture.
Infine i commentatori e la politica farebbero bene a non perdere di vista il fatto che molto del traffico voce si è spostato sul traffico dati, ormai sempre più “telefonate” sono fatte attraverso internet. Questo nei prossimi anni sarà un disastro per le compagnie telefoniche che non sapranno rinnovarsi, consolidarsi, accorparsi. Telecom Italia è troppo piccola e troppo mal ridotta per andare da sola, può mettere sul piatto capacità professionale e tecnologica ma non può andare da sola.
Asset Strategico Industriale
Telecom Italia negli anni di Tronchetti-Provera ha perso una buona parte della sua valenza industriale. Il valore strategico era per esempio legato allo CSELT in grado di produrre tecnologie e ricerca che poi divenivano standard internazionali o a Telespazio e il suo ruolo di driver del settore spaziale italiano. Per la verità nemmeno a quel tempo Telecom Italia è stata in grado di trasformare l’innovazione in prodotti e servizi innovativi, troppo legata alla struttura di operatore ex monopolista. Proprio questo retaggio da ex-monopolista gli ha creato danno insieme alla gestione di un capitalismo rapace che dalla privatizzazione in poi ne ha drenato risorse senza metterci nessun capitale di rischio.
Dal punto di vista della domanda di tecnologia va detto che ormai da diversi anni Telecom italia ha tra i suoi principali fornitori ad esempio apparati cinesi (cosa che in USA è fortemente ostacolato per difendere l’industria nazionale). Dunque Telecom non riesce nemmeno ad essere più un driver di tecnologia e prodotti italiani (es. Italtel). La vendita di Telecom non comprometterà in alcun modo l’industria italiana, anzi per alcuni versi può evitare che qualcuno si senta “giustificato dal nazionalismo” per sostenere una azienda piuttosto che altre(magari più strategiche). Telecom Italia dovrà essere in grado di confrontarsi con il mercato tirando fuori il meglio delle professionalità già presenti che in questi anni sono state mortificate da scandali come quello del traffico telefonico, della vendita di intercettazioni, di “trucchi” ai danni dei clienti o di altri operatori per recuperare guadagni facili.
Gli unici asset strategici che varrebbe la pena conservare in mano italiana ormai sono il marchio Olivetti, che rappresenta il made in Italy tecnologico ma che è stato mortificato all’interno del gruppo Telecom.
Infrastruttura per la PA
Una delle obiezioni che più sono state utilizzate riguarda la strategicità della rete per le informazioni della PA e la necessità che essa non possa finire in mano ad operatori stranieri.
Anzitutto va detto che Fastweb (in mano svizzera) ha diversi contratti con la PA (è uno dei partner principali del Sistema Pubblico di Connettività –SPC-), così come WIND e dunque, qualora l’obiezione fosse giusta, avrebbe dovuto esserci più di un allarme da tempo. Va anche detto che spesso gli apparati sulla rete Telecom sono statunitensi o cinesi, questo significa che le informazioni potrebbero essere “dirottate” di nascosto.
Se il problema è quello di avere una infrastruttura che in modo sicuro ed efficiente dia la rete alla PA allora, ed ha senso, si può trasformare la rete universitaria del GARR nella rete della PA. Avrebbe senso allora che la CDP entrasse nella operazione e si costituisse una società in grado di definire nuove integrazioni tecnologiche utilizzando il sistema universitario e le migliori imprese innovative(Finmeccanica, Telespazio, PMI innovative, ecc.) . Questa azienda potrebbe servire la PA e aiutare imprese italiane a “farsi le ossa” e referenze per vendere prodotti e servizi ad operatori internazionali. Un grande progetto industriale che abbia la domanda pubblica come driver di partenza senza creare concorrenza sul mercato aziendale e privato ma anzi che potrebbe rivendere parte della capacità di trasporto ad operatori che non arrivino nei centri più piccoli.
Il GARR (finanziato dal MIUR) sta già facendo notevoli investimenti in fibra ottica in tutto il Paese e mettendo a disposizione le proprie competenze per dare affidabilità alla rete, fornirla al sistema scolastico, universitario e della ricerca. Il salto non sarebbe impossibile e potrebbe giovare notevolmente poiché non è gravato dall’eredità del rame e dalla necessità di realizzare solo rete fissa, per molti comuni è possibile pensare alle tecnologie wireless o satellite di cui possiamo discrete competenze.
Debito
Il debito di Telecom Italia è abnorme, anche Telefonica ha un alto debito tuttavia essa gode di una politica industriale più solida che rassicura gli investitori sulla sua capacità di coprirlo.
Mettere insieme le due aziende non graverebbe più di tanto sul debito anche perché in termini di abbonati, le due aziende sono leader internazionali.
Trovo del tutto inappropriato misurare una azienda di telecomunicazioni con il criterio contabile di una azienda di prodotti di salumeria o altro. Non perché le telecomunicazioni non siano una industria come le altre ma perché la tipologia di prodotto e servizio è necessariamente legata agli investimenti (fatti a debito) e consente di recuperare tali investimenti in base al numero di abbonati (si pensa che una volta che si raggiungono gli abbonati essi paghino il servizio per un certo numero di anni). Chi si abbona ad un operatore di telecomunicazioni tendenzialmente non cambia subito e questo può garantire ritorni consistenti e duraturi. Il criterio che andrebbe valutato con maggiore attenzione è dato dall’ARPU, che sta per “Average Revenue Per Unit” (ricavi medi per unità) il quale viene usato generalmente tra gli operatori della telefonia – e per estensione, nell’intero ambito delle ICT – per indicare i ricavi medi ottenuti mensilmente per ciascun utente.
Tenendo conto di questo valore, della dinamicità (tassi di crescita) dei mercati dove le due compagnie sono presenti e del numero di abbonati che raggiungerebbero insieme, il problema del debito sarebbe mitigato consentendo di programmare nuovi investimenti e rifinanziamenti. Anche in considerazione del fatto che la nuova Telefonica assumerebbe dimensioni tali da avere posizioni dominanti su molti mercati.
Italianità
Il tema dell’italianità è il tema dietro al quale si nascondono spesso affari di qualche famiglia dell’imprenditoria del salotto buono. La prima privatizzazione aveva dato in mano la Telecom ad Agnelli, la seconda ad un gruppo di finanziatori bresciani, la terza a Tronchetti-Provera nessuna delle tre fasi ha permesso a Telecom di fare il bene dell’Italia.
Dietro al tema dell’italianità si è coperta la vendita di Alfa Romeo e Lancia alla FIAT e oggi le automobili Lancia sono solo le Chrysler con il nome cambiato. E pensare che non l’abbiamo venduta alla FORD che produce auto in Germania. Per non parlare del bruciante caso Alitalia.
Insomma, dietro l’italianità, spesso sembra si nascondano i “buoni salotti” della finanza nostrana che sono sempre in prima fila quando c’è da prendere profitti e fuori posto quando c’è da mettere soldi per investire nelle aziende. E il caso della vendita a Telefonica da parte di Banca Intesa e Generali ne è l’ultimo esempio in ordine di tempo.
IPO
Una questione che è stata posta correttamente è quella della legge sull’IPO che consente di costituire dei pacchetti di controllo che si passano di mano le aziende lasciando fuori i piccoli azionisti. Mi sembra effettivamente necessario intervenire su questo meccanismo ma mi sembra alquanto bizzarro farlo solo per impedire a Telefonica di acquisire Telecom Italia a buon prezzo.
Sarebbe molto più intelligente non caricare Telefonica nella acquisizione ponendo però alcuni “limiti” nella governance affinché sulle scelte più rilevanti non debbano subire ciecamente.
Tim Brasil
Una delle obiezioni posta sull’operazione è il fatto che Telefonica venderebbe TIM Brasil facendo cassa.
Anzitutto bisogna dire che questa opzione, rimanendo così le cose, rischia di essere quella più probabile se Telecom Italia non vuole arrivare al ranking spazzatura del suo debito. In più i concorrenti si fanno sempre più agguerriti (in particolare i messicani) e recentemente Tim Brasil è stata oggetto di sanzioni per operazioni scorrette nei confronti degli utenti. Quest’ultima cosa è un indice molto preoccupante di come viene gestita la sussidiaria brasiliana e può rappresentare un pericoloso rischio per Telecom Italia.
Dunque la vendita di Tim Brasil è comunque all’ordine del giorno. Semmai se questa vendita avvenisse ora consentirebbe alla Telefonica-Telecom di recuperare denaro fresco da reinvestire in altre operazioni di investimento e di rimanere leader del mercato (Telefonica è il primo operatore mobile in Brasile e TIM il secondo). Dunque l’operazione avrebbe un danno parziale nella presenza sul mercato brasiliano ma consentirebbe di recuperare risorse per acquisire nuove posizioni in altri mercati emergenti (Medio Oriente, Asia)e, soprattutto, non sarebbe un danno visto che Telefonica è leader del mercato latinoamericano.
Occupazione
E’ strano che si faccia riferimento al tema occupazionale. E’ anche strana la posizione dei sindacati su questo.
Anzitutto va detto che Telecom, nel più assoluto silenzio, continua ad espellere persone. In questi ultimi anni i programmi per favorire l’uscita sono molto attivi per cui non sta garantendo occupazione. Molte delle attività che prima si facevano all’interno adesso vengono fatte all’esterno da piccole imprese di indotto. Tutto questo Telefonica non ha alcun interesse a smontarlo, forse razionalizzerebbe alcune aziende esterne che meritano di esserlo.
Il personale necessario a mantenere operativa la rete in Italia non subirebbe movimenti come nemmeno il personale di direzione, su questo il governo italiano potrebbe porre la questione di mettere in Italia il centro di una possibile espansione nel mediterraneo del gruppo.
In ogni caso l’occupazione non si protegge lasciando fuori Telefonica, sarebbe anzi un disastro annunciato. I sindacati di settore invece dovrebbero cercare di imporre a tutti gli operatori sul mercato italiano il contratto delle telecomunicazioni che spesso è sostituito da quello metalmeccanico o del commercio. Una delle bizzarrie italiane è che una impresa decide che contratto applicare senza alcun vincolo ma questo è un altro discorso.
Agenda Digitale
Il tema del ruolo di Telecom Italia nell’Agenda Digitale è un altro dei temi “forti” contro Telefonica.
Qui bisogna dire che in Italia solo Telecom Italia è italiana ed è l’azienda che fa più fatica ad investire nelle reti. Spesso lo Stato è intervenuto per esempio attraverso Infratel o le regioni per fare investimenti in fibra ottica a complemento della rete Telecom, mentre molte regioni hanno affidato a Telecom Italia i propri progetti di superamento del digital divide. Il ritorno non è stato sempre dei migliori e gli stessi investimenti potrebbero essere fatti verso altri operatori. Anzi, nell’ipotesi di rafforzare il GARR, sarebbe anche interessante trovare in esso un player a cui affidarsi.
Sul fronte del digital divide gli investimenti sono ancor più problematici poiché spesso la dispersione della popolazione italiana obbliga ad investimenti infrastrutturali in zone economicamente non convenienti per un operatore privato. Questo unito ai dati, che ci dicono che gli italiani preferiscono la connessione mobile a quella fissa, può essere un driver per politiche di incentivazione della banda larga con connessioni wireless di piccoli operatori di territorio che già oggi servono tantissime aree. In ogni caso l’operazione Telefonica non compromette gli investimenti nel nostro Paese.
L’Agenda Digitale non avrebbe gravi conseguenze, anzi con un operatore più solido e più capace di investire il tema non potrebbe che trarne benefici.
Sicurezza
Il tema della sicurezza come è stato posto appare abbastanza capzioso. Il tema della sicurezza non è legato alla rete dove passa e a chi appartiene. Su questo il COPASIR farebbe bene a chiarire meglio i timori che l’hanno spinto a fare certe dichiarazioni.
Anzitutto, come è ormai noto non solo agli esperti di sicurezza, lo spionaggio delle informazioni si fa tramite “virus” che penetrano all’interno dei computer e trasmettono i dati fuori. Questo è il principale meccanismo consolidato di raccolta delle informazioni. I dati sulle reti sono trasferiti criptati ed esistono sistemi sufficientemente sicuri da scoraggiare lo spionaggio.
In alcuni casi le informazioni farebbero bene a viaggiare su reti protette ma, come dimostra il caso Tavaroli, Telecom Italia non è stato un baluardo di tale sicurezza.
Se vogliamo aumentare la sicurezza dei dati sarebbe il caso di investire di più sui temi della Cybersecurity e fare un piano di investimenti in tecnologia (e soprattutto in aspetti organizzitivi e sensibilizzazione del personale) per aumentare la sicurezza delle informazioni. Nelle iniziative istituzionali il nostro Paese è sempre abbastanza indietro in sensibilità su questi temi. Troppo spesso, per esempio, nella PA le password sono ancora scritte sui post-it attaccati agli schermi.
Infine va detto che attualmente, con il progetto SPC, la rete della PA è gestita da diversi fornitori di telecomunicazioni e dunque non solo da Telecom (per esempio Fastweb) per cui la premura di mantenere il controllo italiano di Telecom Italia risulta stonata.
Per quelle istituzioni che hanno bisogno di far circolare dati sensibili di valore strategico nazionale sarebbe invece più utile investire su reti tipo GARR (per esempio facendo una business unit specifica focalizzata nella fornitura di rete alle istituzioni sensibili o una struttura sotto la supervisione dello Stato Maggiore dell’Esercito).
Tutta una serie di dati della PA che si veicolano in rete sono tra l’altro anche presenti nei siti di Open Data già disponibili, per cui avere una rete come quella di Telecom Italia in mano ad una azienda italiana non da molti vantaggi in più per chi volesse realmente spiare informazioni.
Scorporo
Il tema dello scorporo della rete merita di essere approfondito in un articolo a parte per cui non lo affronto. Credo che nella situazione attuale e guardando il futuro delle telecomunicazioni non abbia senso che lo Stato si accolli una rete in rame che è stata gestita spesso male, poco efficiente e incapace di instradare il traffico dei prossimi anni. Oltre a spendere molti soldi per comprarla, lo Stato, dovrebbe spendere molti altri per rimetterla a posto e poi ammodernarla. Il tutto mentre le telecomunicazioni diventano sempre più mobili. Non è un caso che gli altri operatori non abbiano grande interesse a far parte della partita o ad investire sul fisso fuori dai centri urbani.
Conclusione
L’operazione Telefonica Telecom Italia è una buona operazione industriale e rafforza il ruolo di Telecom. Il fatto di essere acquisita da una società spagnola non deve metterci in imbarazzo o offendere il nostro senso patriottico, deve invece darci sprono a concentrarci dove siamo più forti e dove abbiamo maggiori possibilità di riprendere un ruolo industriale.
Anziché farci spaventare dalle aziende straniere che acquistano quelle italiane dovremmo valutare quali sono i settori strategici e quali no, cosa vogliamo fare per rivitalizzare l’industria nazionale e imporgli di cambiare per innovare e crescere. Su questo la politica dovrebbe ascoltare il sindacato ma averne anche autonomia poiché la perdita dei posti di lavoro va combattuta con iniziative sul fronte del consolidamento societario e della crescita industriale e non con la paura.
Dovremmo concentrarci sui settori industriali più innovativi utilizzando la leva pubblica dove serve (in sostituzione di un capitalismo industriale che non abbiamo quasi più) e ricostruire filiere attraverso investimenti in conoscenza e capacità manageriali. Dovremo sentirci offesi invece di come certo capitalismo nostrano ha trattato e tratta il nostro patrimonio industriale facendone scempio per portare a casa la cassa e poi lasciandolo svuotato e pieno di debiti alla deriva.