La maschera di Guy Fawkes conquista anche Singapore. Il sito del presidente e del primo ministro sono stati hackerati dopo l’annuncio del governo di un giro di vite sulle attività di Anonymous. Da venerdì scorso, è in corso una cyberguerra tra la città stato e il gruppo di attivisti cibernetici. Una guerra annunciata almeno da una settimana.
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Sulla pagina dell’Istana, la residenza ufficiale del presidente della città-stato e su quella del primo ministro Lee Hsien Loong sono apparsi immagini e messaggi di scherno. «Oggi è un gran giorno per essere un cittadino di Singapore», si leggeva in un banner con l’immagine della maschera dell’eroe della graphic novel V For Vendetta, sulla pagina del primo ministro.
Anche il presidente Tony Tan è stato preso di mira: «Jiak liao bee!» è apparso su una pagina del sito internet della residenza ufficiale del capo dello Stato, un insulto in un dialetto della Cina meridionale diretto a chi viene pagato per non fare nulla.
L’attacco di venerdì scorso arriva a poco più di una settimana dall’hackeraggio del sito del principale quotidiano singaporeano, lo Straits Times. Sul blog del corrispondente tecnologico del quotidiano, è apparso lo stesso banner postato qualche giorno più tardi sulla home del primo ministro Lee insieme ad un avvertimento: «Caro ST (Straits Times), sei stato hackerato per aver mentito».
Un giorno prima, su Youtube era apparso il video di un attivista che chiamava, dietro la consueta maschera bianca ghignante attraverso un sintetizzatore vocale, alla “guerra” contro il governo. Il giornalista del primo quotidiano della città stato, riportando la notizia sul suo blog, aveva scritto che Anonymous aveva lanciato una guerra “contro Singapore”.
L’esecutivo dunque rimane l’obiettivo primario degli attacchi di Anonymous. Il primo ministro Lee è infatti ritenuto il principale responsabile del provvedimento, entrato in vigore lo scorso giugno, che stabilisce il rilascio di permessi individuali, di durata annuale, per i siti che pubblicano resoconti dell’attualità di Singapore con sede nella città stato. La legge riguarda in particolare siti d’informazione gestiti da Yahoo e altri gestiti da gruppi vicini o direttamente in mano allo Stato.
Poco dopo l’approvazione della misura, il ministro delle Comunicazioni e dell’Informazione, Yacoob Ibrahim, ha dichiarato l’intenzione di estendere il provvedimento anche ai portali informativi che si occupano di Singapore con sede all’estero.
Agli attivisti digitali singaporeani e ai partiti di opposizione la mossa del governo è sembrata fin da subito un tentativo di stringere ulteriormente il controllo sull’informazione online.
Se i politici hanno definito in sede istituzionale il provvedimento “regressivo” e “ostacolo allo sviluppo dell’industria dei media”, notando come manchino i presupposti di minaccia alla sicurezza nazionale, i cyberattivisti hanno preferito intervenire direttamente sui siti ufficiali dello Stato.
Dagli anni Settanta, il governo di Singapore – gestito da oltre mezzo secolo dal Partito d’Azione Popolare – ha preferito anteporre la coesione nazionale alla libertà di stampa. Un controllo più stretto sulle notizie, questa è l’idea all’interno dell’apparato governativo, è utile a favorire un giornalismo più responsabile e a evitare che la reputazione dei funzionari statali sia compromessa.
In una città con uno dei più alti tassi di diffusione della Rete – circa l’85 per cento delle famiglie ha accesso a Internet su una popolazione di 5,3 milioni di persone – qualsiasi tentativo di dare ulteriori giri di vite all’informazione online potrebbe rivelarsi controproducente. Come notava un articolo sul portale The Independent Singapore, basta una buona connessione e un minimo di abilità informatica per entrare nel network di hacker: «Anonymous può essere chiunque, chiunque può essere Anonymous».