Spin DoctorD’Alema e quel PD che non cambia verso

Renzi vince questa prima tornata delle primarie del PD.  I numeri sono ancora tutti da analizzare, approfondire, sviscerare, ma questo rimane forse il risultato politico più importante per il sinda...

Renzi vince questa prima tornata delle primarie del PD. 

I numeri sono ancora tutti da analizzare, approfondire, sviscerare, ma questo rimane forse il risultato politico più importante per il sindaco di Firenze, da sempre considerato quasi un intruso nel Partito Democratico.

Una vittoria importante perché arriva proprio da quella base, gli iscritti, i militanti, che molto spesso sono stati utilizzati contro di lui come una clava simbolica dai suoi avversari interni. Adesso potranno ancora dire che Renzi non rappresenta la base del PD, che è troppo berlusconiano per guidare il partito, che farebbe meglio a farsene uno tutto suo? 

Il risultato di Renzi arriva da lontano, dalla prima Leopolda, ma più precisamente dalle primarie di un anno fa ed è frutto di meriti suoi ma anche di molti demeriti degli altri. 

Il sindaco, privo di radicamento sui territori, ha deciso di giocare la competizione di un anno fa sparigliando schemi politici e comunicativi, non solo non accettando la contrapposizione destra/sinistra in cui Bersani & co hanno cercato di rinchiuderlo, ma riuscendo ad imporre il proprio frame, sintetizzato dal termine rottamazione e sviluppato attraverso una narrazione giocata sul cambiamento, non solo generazionale, ma culturale e politico. 

In quella competizione, i bersaniani, D’Alema in primis, hanno adottato una strategia comunicativa tutta mirata a demolire il nemico interno, un attacco serrato e a tratti violento, senza intuire che in quel modo demonizzavano un’istanza di cambiamento che non era solo interna al partito ma sempre più forte nel Paese. I vari Bersani, Fassina, Bindi, D’Alema, ecc. infatti, erano tanto concentrati a caricare a testa bassa da perdere di vista quello che succedeva là fuori, ovvero il crescere dirompente di una rottura con i partiti tradizionali  e con quella casta di cui si ergevano a perfetti rappresentanti, che avrebbe fatto esplodere il M5S di Grillo. 

Erano elezioni primarie certo, per altro con criteri stringenti di partecipazione, ma il punto è che si è trattato comunque di una strategia miope che ha messo al sicuro nel breve periodo una vittoria che, probabilmente, sarebbe arrivata lo stesso.  Anche con una campagna diversa, meno ristretta nel cerchio della vera sinistra e più aperta ad un’idea di futuro e di cambiamento. 

Quello che è successo dopo è storia conosciuta. La non campagna elettorale, la non vittoria alle elezioni, il non incarico a Bersani di formare un governo. Un filotto di disastri che rafforzava ogni volta quel sospirato “ah, se avesse vinto Renzi”.

Chissà, se avesse vinto Renzi, come sarebbero andate le cose. Resta il fatto che se i bersaniani avessero seguito un’altra strategia comunicativa probabilmente il risultato di febbraio sarebbe stato diverso. Perché la partita non era interna, non si trattava solo di vincere le primarie ma di presentarsi come il partito di governo e di innovazione, in un momento in cui il PDL era senza leader, Monti non ancora ufficialmente in campo, il M5S che faceva la sua cavalcata in Sicilia ma non era ancora esploso. 

Invece il PD aveva fatto di tutto per dare l’immagine di un partito diviso fra bande, in cui qualsiasi spinta all’innovazione veniva soffocata nella culla, contrastata e disegnata come il male assoluto. Perché votarlo, quindi, quando c’era qualcuno che candidava dei perfetti sconosciuti armati di apriscatole?

Il risultato di Renzi, dunque, sorprende ma fino ad un certo punto. Ci sarà tempo per capire se si tratta di un effetto bandwagon o di una conversione della base, come scrive oggi Paolo Natale.

Ciò che invece sorprende è come D’Alema e qualche altro cuperliano (ma non Cuperlo, va detto), non abbiano imparato niente dalle vicende democratiche dell’ultimo anno. Perché si può non salire sul carro del vincitore anche senza delegittimarne il risultato, senza attacchi violenti e personali, senza ridurre sempre tutto a una guerra fra bande in cui il cambiamento (o meglio, colui che almeno simbolicamente se ne fa portatore) diventa automaticamente il nemico. 

Perché così si può racimolare qualche voto in più alle primarie dell’8 dicembre. 

Ma il PD non può continuare a vincere soltanto quando gioca da solo. 

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