In viaggio con TancrediSulla sua sedia

  Navicella     Sono piccole, ma comode. Ieri mi sono seduta su una delle sedie che Tancredi usa, sposta, spinge ogni giorno e che si trovano dentro la sua classe. La sezione blu di una sc...

Navicella

Sono piccole, ma comode. Ieri mi sono seduta su una delle sedie che Tancredi usa, sposta, spinge ogni giorno e che si trovano dentro la sua classe. La sezione blu di una scuola romana. Ieri io ero lì, ma lui non c’era: si celebrava il rito del primo colloquio individuale con le maestre.

Tra me e loro un tavolo quadrato fatto da tanti piccoli tavoli, sia io sia loro sedute su piccole sedie che sembrano cubi.

La scuola, alle sette di sera, era ovviamente deserta, ma la sensazione era quella che si prova alla fine di un concerto: tutti sono andati via, ma a terra restano i loro segni, le loro lattine, le cicche di sigaretta, le bottiglie di birra, pezzi di carta, magliette, abiti e ombrelli dimenticati.

Ieri, alle sette di sera nella scuola di Tancredi, lui e i suoi tanti amici non c’erano, ma ho visto i loro disegni, le loro foto sui muri, i giochi, i gessi e i pennelli colorati, i piatti di plastica tagliati in due e diventati farfalle colorate, la cartapesta trasformata in uva che penzolava dai tetti, gli armadietti, i bicchieri e gli spazzolini.

La sedia piccola ma comoda in cui ieri mi sono seduta, per qualche minuto si è trasformata in una navicella che mi ha condotto in tutte le giornate di Tancredi racchiuse tra la mattina e il tramontar del sole.

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