Ricevere auguri di compleanno via Linkedin conditi da improbabili formule di cortesia e dall’utilizzo del lei fa uno strano effetto. Ancor più ricevere, il giorno successivo, auguri di buon onomastico. Capisco la netiquette e la smania di networking, ma mi sembra che in certi casi ci sia un eccesso di zelo. E lo dice una che di Linkedin fa un uso massiccio (come di Facebook, Twitter e Instagram a dire il vero, con il validissimo alibi di usarli per lavoro).
Non che abbia niente contro la cortesia mediatica, ma da qualche tempo mi rendo conto di come del canale social che dovrebbe essere dedicato al networking lavorativo venga fatto un uso sempre più arbitrario: gli auguri di buon compleanno e buon onomastico sono stati solo il fiore all’occhiello della questione.
Sono iscritta a svariati gruppi su Linkedin, e molto spesso gli argomenti che vengono affrontati nelle discussioni interne sono tutt’altro che pertinenti e/o utili al tema del gruppo: certo, ognuno è libero di interagire o meno, ma la qualità del discorso generale ne risente.
In termini qualitativi e soprattutto di opportunità lavorative c’è una differenza stratosferica fra i gruppi italiani e quelli internazionali. Per esempio nel gruppo Find a journalist around the world ci sono quotidianamente opportunità interessanti per chi lavora nel settore giornalistico e soprattutto dei media, opportunità CONCRETE intendo (a patto di parlare bene almeno una lingua straniera). Nei gruppi italiani solitamente si offrono opportunità di collaborazione che si capisce lontano un miglio che sono una sòla, come si suol dire. Anche quando rispondi speranzosa, come ha fatto più volte negli anni la sottoscritta, una delle prime cose che viene detta è che la collaborazione si intende a titolo volontario.
Nei casi in cui invece ti candidi a job offer vere, rischi lo sconforto assoluto nel vedere che ad una stessa posizione sono candidate qualcosa come 600-700 persone.
Ma la cosa peggiore è l’utilizzo di Linkedin con secondi fini nemmeno troppo nascosti: c’è chi lo fa in maniera velata, con messaggi di eccessiva cortesia, proposte di incontri pseudo lavorativi e quant’altro, e chi invece lo fa in maniera più esplicita. Non si tratta della maggioranza, ovvio, però queste persone ci sono. Se proprio uno non ne può fare a meno, che utilizzi altre piattaforme, e non Linkedin.
Due anni fa mi ha contattata il responsabile di un sito web mediamente conosciuto, dicendomi che stavano aprendo un nuovo canale dedicato al cinema e proponendomi quindi una collaborazione. Io ho risposto dicendomi interessata e informandomi sulla retribuzione. Lui mi ha risposto che il lavoro non era retribuito, ma il progetto poteva crescere etc… insomma la solita storia che ho sentito ripetere decine di volte da start up giornalistiche discutibili.
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Gli ho detto che non ero interessata.
Mi scrive una seconda volta. Non rispondo.
Mi scrive una terza, rispondo ancora che non sono interessata, e lui mi dice che magari avrebbe potuto ricompensarmi offrendomi degli aperitivi.
Non ho più quei messaggi: credo di averli cancellati per non incorrere in poco eleganti tentazioni sputtanatorie (che in casi del genere sarebbero tutttavia meritatissime).
Insomma, il panorama può risultare a tratti sconsolante, soprattutto nell’ambito del giornalismo e della comunicazione. Di nuovo, la gavetta è fondamentale: permette di capire e far capire agli altri qual è il proprio valore professionale e imparare a mettere dei paletti, perchè sia chiaro che dopo un certo tot di gavetta i paletti vanno messi, pena la svalutazione non solo di se stessi ma anche della qualità generale del settore. Le decine e decine di riviste che nascono a suon di collaborazioni volontarie non posso avere certo lo stesso livello qualitativo di quelle che hanno dietro la professionalità di persone pagate per fare – con certi standard qualitativi – un derterminato lavoro.
E voi quanto e come utilizzate Linkedin? Avete avuto esperienze del suo uso improprio o di proposte assurde arrivate da lì?