Se il livello dell’opinione pubblica è modesta, difficile che nascano grandi leader
Nell’interessante libro Intervista con la Storia, Oriana Fallaci precisa che secondo lei Golda Meir, la grande statista israeliana, è diventata un leader partecipando fin da giovane a centinaia di assemblee, dibattiti, incontri e scontri nei quali ha affinato le sue capacità. Una sorta di allenamento con i più forti, con i più bravi. Quando chiesero alla Thatcher quale fosse il suo più grande successo, la grande leader dei conservatori inglese rispose: “Il New Labour”. Tony Blair emerge proprio da questo lavoro di allenamento contro la Thatcher.
Uscendo dal palazzetto dopo aver seguito un comizio di Renzi, mi tornavano in mente queste due storie: in confronto alla tempra e alla capacità politica di queste due donne Renzi sembrava poco più di un capo di segreteria regionale. D’altronde, se la politica è dialettica, è sintesi delle opinioni, è analisi dei problemi per migliorare la nostra società, in un periodo di mediocrità di un dibattito politico privo di forti argomenti, di sintesi ragionate, di serie analisi non ci si può aspettare che nascano dei grandi leader.
Non bastano i problemi a formare grandi leader. Manca la palestra, quell’allenamento continuo che serve ad migliorare il dialogo politico per trovare nuove soluzioni: senza grandi avversari, grandi idee o dibattiti accesi, è improbabile che un politico cresca, si perfezioni, conduca con coraggio e ragionata determinazione un Paese.
Renzi, quindi, è il meglio che questa mediocrità politica può far emergere.
Questa è forse l’eredità più pesante degli ultimi 20 di berlusconismo e di sinistra imbelle: aver tolto la possibilità ai giovani di confrontarsi con leader capaci e autorevoli. Citando il generale Fabio Mini: «Un nemico debole non stimola, e un nemico stupido è contagioso».
Questa eredità emerge chiaramente dalle analisi dell’opinione pubblica. Ad esempio In uno Stato con una spesa pubblica di 800 MLD che sta perseguendo una decisa ma ben poco chiara politica di tagli, è mai possibile che l’attenzione di tutti sia rivolta per mesi sullo 0.5% della spesa pubblica? Sì, perché questa è l’incidenza dell’IMU, un tipo di tassa patrimoniale presente in moltissimi paesi del mondo e che costa circa 4 MLD.
In 45 minuti di comizio, Renzi ha avanzato diverse proposte su come migliorare il Paese. Tutte proposte lodevoli se Renzi si candidasse alla guida di un partito minoritario. Il caso vuole che si candidi alla guida del PD e pertanto ci si dovrebbe aspettare un po’ più di coraggio e un po’ più di lungimiranza, una sintesi efficace di ciò che gli elettori del PD possono sognare dal loro partito. Berlusconi insegna che la campagna elettorale è anche il momento in cui far sognare gli elettori che vogliono sogni, vogliono cambiare verso.
Riassumendo 3 sono stati gli assi portanti delle sue proposte.
Il primo ha a che fare con i costi della politica che vuole ridurre da 2 MLD a 1 MLD. Su come tagliare i costi ha dato precise indicazioni: taglio ai fondi pubblici ai partiti, un taglio dei parlamentari e l’eliminazione delle provincie, proposte, a dire il vero, sul tavolo da tempo (i soldi così risparmiati sarebbero spesi in sicurezza del territorio e istruzione).
La seconda idea ha a che fare con i fondi europei. Sappiamo tutti i problemi che ha l’Italia nel spendere i fondi, ma non si può certo pensare che sia una priorità del Paese il tema dei progetti europei. Già esistono modelli virtuosi (si pensi al caso della Puglia), quindi c’è poco da inventare o da cambiare: basta imitare ciò che già succede a casa nostra.
Terzo punto, la disoccupazione. Ecco, appunto, terzo punto. Ripeto: terzo punto. Per chi vuole fare da ponte fra destra e sinistra, i temi economici dovrebbero essere al primo posto, non certo al terzo. Il tema, poi, è trattato in maniera generica: riorganizzare i centri per l’impiego e ripensare la formazione permanente. Troppo poco: il tema del cuneo fiscale, la Cassa integrazione, il reddito minimo come ammortizzatore sociale o la progettazione di una seria politica industriale sono temi cruciali e d’impatto su cui concentrarsi.
Su alcuni temi chiave (giustizia, immigrati, grandi opere, tanto per citarne tre) Renzi non ha detto nulla, o quasi, come bloccato dalla paura di fare uno sgarro al governo Letta. Premura comprensibile, che però non aiuta a scaldare gli animi della gente, a trovare nuovi consensi o rafforzare quelli già esistenti.
Per fortuna, bisogna riconoscere a Renzi una certa autorevolezza e audacia nello sfidare alcune delle abitudini degli elettori del PD e non solo. Verso la fine del comizio, il sindaco di Firenze ha fatto un preciso cenno a 3 temi spinosi per un dirigente del PD.
Primo, ha riconosciuto apertamente l’incapacità di molte realtà del Sud nello sfruttare i fondi europei. Mi ha molto colpito questo cenno. Invece di proporre l’ennesima giustificazione a un malcostume politico del meridione, Renzi ha sostenuto la necessità di una maggior serietà da parte sia dei politici e sia dei cittadini del Sud nella gestione della cosa pubblica. Nessuno escluso da responsabilità, insomma. Ovazione generale: siamo al Nord.
Secondo, spaziando fra analisi politica e sociologica, Renzi ha sostenuto che per migliorare la scuola serve un cambiamento di rotta anche dei genitori che devono smettere di difendere i figli ad ogni costo. Anche qui, il messaggio era chiaro: attenzione alle responsabilità di ognuno, altrimenti nulla può cambiare. Non è un caso che questo cenno, tema sensibile per molti presenti, abbia ricevuto pochi applausi.
Terzo, analizzando i dati sulla popolarità del suo partito, Renzi ha sottolineato che il PD è il primo partito fra i pensionati e i dipendenti pubblici, ma solo il terzo (dietro M5S e ex-PDL) fra i giovani, i disoccupati e gli imprenditori. E’ ora di convincere anche gli altri, ha detto Renzi con uno slancio da New Labour, che possono sentirsi rappresentarli dal PD.
Mi permetto di aggiungere che rottamare deve voler dire mettersi in discussione; altrimenti significa solo cambiare i nomi e i volti al vertice. Avere il coraggio di rivolgersi anche a chi porta avanti con difficoltà le nuove idee, di chi è veramente stritolato dalla crisi e di chi fa impresa è un merito che deve essere riconosciuto a Renzi. E’ un passo, importante per creare una sinistra moderna, ma non è ancora abbastanza per poter affermare di essere di fronte ad un vero leader. Sarà compito della nostra generazione metterlo in condizione di crescere.