Asia FilesAmbasciatori alla corte dei Kim

Uno è un'ex stella del basket statunitense che si sta rifacendo una carriera come “improbabile”  ponte diplomatico con la Corea del Nord, accompagnato da altri ex cestisti con qualche problema econ...

Uno è un’ex stella del basket statunitense che si sta rifacendo una carriera come “improbabile”  ponte diplomatico con la Corea del Nord, accompagnato da altri ex cestisti con qualche problema economico in quella che il New York Times ha definito la “versione bizzarra delle diplomazia del basket”. L’altro è un ex lottatore giapponese, che ha scelto la politica, è diventato parlamentare nelle file di uno dei partiti schierati più destra nell’arcipelago e che a sua volta non disdegna una propria diplomazia personale verso Pyongyang, anche a costo di essere sanzionato per aver viaggiato in Corea del Nord senza approvazione.

Il primo è Dennis Rodman, ex campione dei Chicago Bulls, sbarcato nella capitale nordcoreana per il suo ennesimo viaggio a Nord del 38esimo viaggio. L’occasione è una partita in onore del giovane dittatore Kim Jong-un. Gli ex campioni dell’Nba – tra cui Kenny Anderson, Cliff Robinson, Vin Baker-sfideranno una rappresentativa nordcoreana per celebrare il compleanno del Brillante Leader. Il secondo è Antonio Inoki. Negli anni Novanta del secolo scorso aveva organizzato incontri internazionali tra wrestler a Pyongyang. Entrato nella Camera alta del Parlamento lo scorso luglio con il Partito della Restaurazione, a novembre  è tornato nella capitale nordcoreana.

Tra gli incontri avuti è da sottolineare quello con l’allora numero due del regime Jang Song Thaek. Di fatto l’ultima apparizione pubblica per l’uomo considerato l’eminenza grigia del regime. Nel giro di un mese lo zio del giovane Kim Jong Un è stato accusato di tutto e di più, compreso il tradimento, e giustiziato in quella che è considerata la più importante epurazione al vertice del regime. Di questi giorni è la notizia, rilanciata senza troppe accortezze, in particolare in Italia, che Jang sarebbe stato dato in pasto a 120 cani. Scavando a fondo, pare che i macabri particolari della vicenda siano in realtà frutto di una battuta partita l’11 dicembre da un account satirico sui social network cinesi. Ripresa l’indomani  dal Wen Wei Po di Hong  Kong, quotidiano filo-cinese che non gode di grande credibilità nell’ex colonia britannica. Passata poi in inglese per lo Straits Times di Singapore sotto Natale  e da lì arrivata alle redazioni internazionali lo scorso fine settimana, pubblicata in molti casi senza che ci si domandasse se fosse vera o meno -alcuni esperti ritenevano comunque l’ipotesi plausibile- andando così a ingrossare l’elenco delle notizie strano ma vero che circondano la Corea del Nord e che alimentano il mito di un Paese bizzarro e crudele in cui tutto può succedere. Negli stessi giorni in cui la storia dei cani iniziava la sua lenta diffusione, Inoki annunciava invece la volontà di tornare a Pyongyang, forse entro questo mese, prima dell’inizio della sessione della Dieta nipponica.

Come ricorda Giulia Pompili sul Foglio, nel riportare il pensiero di Andrei Lankov, dell’università Kookmin a Seul, per personaggi come Inoki, Rodman o come il canadese Spavor, sponsor del cestista alla corte dei Kim, è forse più facile approcciare e trattare con i nordcoreani rispetto ai tradizionali canali diplomatici. Per questo, anche se storcendo un po’ il naso, li si lascia fare. Il risultato, scrive  lo stesso Lankov sul sito Nk News,  è un maggiore contatto con il mondo fuori dai confini di quello che ancora da molti è chiamato il Paese eremita. “Rodman non cambierà molto, ma speriamo che più atleti, scienziati, artisti lo seguano a Pyongyang per scambi di diverso tipo, grandi o piccoli. Isolarla non cambierà la Corea del Nord”, scrive l’esperto russo, “soltanto interagendo con l’esterno c’è qualche motivo per sperare”.

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