E ora qualcosa di completamente diversoElectrolux: non me l’aspettavo veramente – Seconda puntata

Fantasia e coraggio per ripartire Basta aspettare 3 mesi per tornare a parlare della stessa crisi. Sembra che per l'ennesima volta si chiede allo Stato di intervenire per salvare un'azienda, l'Elec...

Fantasia e coraggio per ripartire

Basta aspettare 3 mesi per tornare a parlare della stessa crisi.

Sembra che per l’ennesima volta si chiede allo Stato di intervenire per salvare un’azienda, l’Electrolux. La meno fantasiosa delle proposte, mossa dai sindacati come dalla presidente Serracchiani e suggerita dall’azienda stessa, è anche la più semplice di tutti: dammi oggi due soldi e in futuro si vedrà.

Atteggiamento che di nuovo penalizza il Paese senza responsabilizzare la politica, i sindacati o l’impresa.

Invece di attuare un piano strategico di lungo respiro per creare le condizioni affinché un’azienda abbia piacere a rimanere in Italia (riduzione burocrazia, nuova organizzazione degli oneri sociali, migliore formazione della forza lavoro), si risolve ogni vertenza nel modo più banale: un bel finanziamento pubblico. Soldi che alla fine finiscono e lasciano l’azienda nello stesso duro ambiente che l’aveva portata a decidere di spostarsi.

E’ inutile lamentarsi delle tasse se poi a ogni problema s’invoca il maldestro intervento dello Stato a finanziari progetti senza alcun futuro.

Mi permetto di segnalare un mio articolo per chi fosse interessato alla questione Electrolux. Come già detto in precedenza, invito a vedere questa tabella: sono i dati sull’occupazione del gruppo Electrolux nel mondo. In Svezia, sede della multinazionale, l’occupazione è calata del 28% dal 2008 al 2012, mentre in Italia calava del 23%. E un confronto sugli altri paesi, tra cui la Polonia, rende chiaro che quella di Electrolux è una crisi di domanda, una crisi che non si risolve mettendo qualche milione di fondi pubblici nei conti dell’azienda.

L’Electrolux propone un passaggio dal sistema a 8 ore a uno a 6 ore con un taglio del costo del lavoro dell’8% del salario (da cui uno stipendio di 700€ mese) nelle sue 4 fabbriche (Forlì, Solaro, Susegana, Porcia). Proposta irricevibile, fanno sapere i sindacati e la politica.

Il problema è che la loro controproposta da parte degli attori italiani non risolve il problema di Electrolux: la scarsa domanda di mercato e la possibilità di produrre in paesi meno costosi e con sistemi burocratici più moderni (vedi Polonia).

Certo, se si accetta il piano di Electrolux si aprirebbe uno spiraglio per ogni impresa italiana che voglia rendere più flessibile e meno costoso il lavoro. Un rischio alto per politica e sindacati. Ma se l’alternativa è dare denaro pubblico senza alcuna idea di politica industriale di lungo periodo (qui la Serracchiani ha fatto bene a punzecchiare il ministro Zanonato), il gioco non vale la candela perché sappiamo come finisce: come la FIAT con testa a Detroit e portafoglio a Londra.

Soluzioni?

Accettare il piano Electrolux, allungarne l’orizzonte temporale (oltre il 2015), vincolandolo a penali per l’impresa se cambiasse strategia, cercando di spuntare qualche condizione migliore sugli investimenti (che vincolano ben più della forza lavoro un’impresa) o limando la riduzione del premio produttività (che incentiva la produttività). Poi mettere in campo una strategia, coordinata fra sindacati, imprese e politica per ridurre oneri e burocrazia. Sono anni che se ne parla e pochi passi si sono fatti in quella strada.

Basterà questo per salvare anche lo stabilimento di Porcia? Forse no, vista le richieste dell’azienda (“oltre a ciò che è stato messo in campo, debbono essere ricevute e considerate ulteriori potenziali proposte da parte di tutti gli attori coinvolti, che consentano alla fabbrica di colmare i gap ancora presenti”). Se non ci sono altre alternative, allora si proceda con un aiuto finanziario, magari rivolto ad abbattere gli oneri per gli investimenti o gli oneri sul lavoro.

I soldi a pioggia sono funzionali solo nel breve periodo, fino alla prossima emergenza.