Da casa a casaLa scommessa di “Braccialetti Rossi” nelle canzoni di Niccolò Agliardi

Braccialetti Rossi ha stupito tutti. La serie tv in sei episodi (prodotta da RaiFiction e Palomar), in onda dallo scorso 26 gennaio, ci accompagnerà per altre cinque settimane. Ma i dati d'ascolto ...

Braccialetti Rossi ha stupito tutti. La serie tv in sei episodi (prodotta da RaiFiction e Palomar), in onda dallo scorso 26 gennaio, ci accompagnerà per altre cinque settimane. Ma i dati d’ascolto della prima puntata (più di 5 milioni di telespettatori, con un inaspettato 20,02% di share) e il tam tam mediatico scaturito come un fiume in piena parlano chiaro. La storia è tratta dal romanzo di Albert Espinoza, El mundo amarillo, divenuto nel 2011 una serie tv spagnola, Pulseras Rojas. È la vicenda di sei ragazzini che si ritrovano in uno stesso ospedale. E che, di fronte al dolore, non scelgono di sopravvivere, ma di vivere. Crescendo. E iniziando ad avere un rapporto tra loro, e con il mistero per il quale si trovano tra quelle quattro mura. Martedì 28 gennaio è uscito il disco della colonna sonora di Braccialetti Rossi, firmato dal cantautore Niccolò Agliardi. Nel disco (dall’etichetta Carosello), sono infatti presenti nove inediti: tre di questi sono cantati dallo stesso Agliardi, mentre gli altri vedono l’interpretazione di Francesco Facchinetti, Ermal Meta, Il Cile, Simone Patrizi, Edwyn Roberts e Greta. Ma oltre a questi nove inediti (composte da Agliardi con la sua band, The Hills), possiamo trovare nel disco (e, quindi, anche nella serie televisiva) cinque grandi successi di Vasco Rossi, Laura Pausini, Tiziano Ferro, Emis Killa e Emma Marrone, che hanno sentito come propri il messaggio e la scommessa di Braccialetti Rossi, tanto da affidargli i propri successi più grandi. Abbiamo incontrato Niccolò Agliardi, per capire cosa lo ha portato ad indossare in prima persona quel braccialetto.

Niccolò, come hai incontrato Braccialetti Rossi?
Tutto è nato per volontà del produttore Carlo Degli Esposti. Lui é uno tosto. Un giorno mi ha detto: «Mi serve uno che abbia alcuni requisiti, ma dev’essere bravo». Io non sapevo se ne avessi i requisiti, o se fossi abbastanza bravo, ma quando ho visto la prima puntata di Braccialetti Rossi in spagnolo, ho sperato che scegliesse me a costo di metterci (e allo stesso tempo di sacrificare) quello che già sono, che sono stato e che rappresento. Ho capito che volevo indossare un braccialetto rosso anch’io in quel momento; ne ho capito in fretta la potenza e la forza. Non sapevamo ancora niente, non erano ancora stati scelti i ragazzi, però quando lui mi ha detto «Mi piacerebbe che te ne occupassi tu», io ho capito che la mia vita stava subendo una piccola e/o grande evoluzione. E infatti così è stato. E non è ancora finito.

Qual è il rapporto che hai con i sei protagonisti?
È un rapporto che va oltre alla vicinanza. Sono dei ragazzi con i quali ho un rapporto di grande fratellanza. Mi hanno aiutato tantissimo (forse più di quanto abbia fatto io con loro) nel vivere questa esperienza che per loro, così come per me, era abbastanza nuova: si sono impegnati molto quest’estate. Conoscersi lì e condividere insieme tutto quello che abbiamo convissuto in quattro mesi sul set, e far parte tutti di questa storia, ognuno con un ruolo diverso, é una cosa che ti unisce molto. Adesso i braccialetti rossi sono una cosa profondamente radicata nel mio tempo e nel mio presente.

Qual è stato il criterio di scelta della canzoni inserite nel disco?
Non c’è niente di casuale in questo disco. Niente. Dalla prima alla sedicesima traccia. Non è casuale che io ad esempio abbia scelto di interpretare soltanto tre di queste canzoni, che rappresentano fortemente il mio marchio di scrittura. Da un lato c’è la più profonda allegria di Tifo per te, dall’altro c’è la consapevolezza di Io non ho finito che è un grido che posso cantare io, così come Leo (che è il protagonista della serie, ndr), così come ognuno di noi che può scegliere di dire che non ha finito di fronte a qualunque tipo di zona d’ombra perché vuole continuare a vivere, ad amare e a pensare al proprio domani. E poi c’è La porta: è una canzone molto delicata che nasce quasi da un’esigenza precisa del regista Giacomo Campiotti che mi ha dato la possibilità di raccontare una cosa che io, da solo, non avrei mai avuto il coraggio di raccontare, cioè quel momento preciso del passaggio tra la vita e la morte che altro non è, secondo la visione del regista, che una porta che si apre e che dà ad un’altra stanza. Questa canzone credo di averla interpretata bene. Ero lì, ero molto presente quando la cantavo, ero molto presente a me stesso e sapevo cosa stavo facendo.

E gli altri artisti?
Prima di ogni altra cosa, li ho scelti in base al rapporto di amicizia che ho con loro. E poi, ho voluto scegliere persone per bene. Persone che, nel momento in cui raccontavo di Braccialetti Rossi, sapevo che non ci fosse bisogno che vedessero il film per dire di sì; e infatti così è stato. Un po’ per la fiducia che ci lega e un po’ sul fatto che la storia è potentissima. Né Laura (Pausini,ndr), né Emma Marrone, né Francesco Facchinetti, hanno posto una riserva. Hanno subito detto «Ok, ci siamo». E questo è il frutto di rapporti fiduciari nati in questi anni, e di una sensibilità non comune. Ma quantomeno comune a tutti loro.

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Pensi che sia importante raccontare il dolore?
Il fatto che abbiamo avuto così tanto successo in prima serata su Rai 1 con la storia di sei ragazzi è importante. Il tutto poi parte da una cellula del dolore molto forte: ci sono due amputazioni, un ragazzino che ha subìto (e subito) un infarto, una ragazza anoressica, ecc. Tutto questo, che potrebbe essere assolutamente respingente, in realtà ha fatto un dato d’ascolto fenomenale. Per tutta la notte #BraccialettiRossi è stato Topic Trend su Twitter, il giorno dopo tutti i giornali ne hanno parlato, tutti stanno ancora parlando della colonna sonora. Per tutti questi motivi, la sensazione che ho non è tanto se si parla o meno del dolore, ma come il dolore viene raccontato. Questo è un dolore che non abbruttisce ma che, anzi, permette di evolversi.

Per te che cos’è il dolore?
È semplicemente una compagnia. Alla quale qualche volta decido di far caso. Ma per fortuna, crescendo, ho capito che è una compagnia che quasi sempre posso scegliere se incontrare davvero o no.

Che cosa vorresti trattenesse una persona che guarda la fiction o che ascolta queste canzoni?
Il fatto che in realtà quella è una compagnia che puoi scegliere anche di non frequentare. Il dolore, per me, é un ottimo viatico di evoluzione. C’è una frase nel libro di Albert Espinoza (l’autore del libro da cui è tratta la serie, ndr) che afferma: «Anche le più grosse perdite in realtà possono essere delle conquiste». Io penso che questo film in buona sostanza racconti questo. E il mio disco, di conseguenza, va di pari passo con lo stesso concetto. Questo non è un disco di assenze. Questo è un disco di grossa presenza, di alleanza, di solidarietà, di cooperazione. È proprio in questo senso che i Braccialetti Rossi mi hanno consentito una rivoluzione perché io ho provato a raccontare una cosa che nei miei dischi precedenti molte volte mancava. Una volta, il mio amico Alessandro Cattelan, presentando un mio disco, ha detto di aver sempre avuto la sensazione che nelle mie canzoni mancasse qualcuno. Questa cosa non me l’aveva mai detta prima. Ma aveva profondamente ragione. E in questo disco non manca nessuno. Ci siamo tutti. All’appello non manca nessuno. Ed è strano perché è un disco che parla di malattie e di addii. Ma in realtà non solo di questo.

Di cosa hai sete ora?
La sete è spirito vitale. Questo è un periodo della mia vita nel quale ho capito una cosa importante: io sono davvero dove volevo essere. Sembra una stupidaggine, ma ognuno di noi è dove vuole essere. Noi siamo davvero l’insieme delle scelte che abbiamo fatto, delle cose che abbiamo scelto di non fare, dei “no” che abbiamo detto. Io, oggi, ho sete di questa stessa sete, del fatto di essere terribilmente coerente con me stesso, del fatto di avere fatto un percorso sicuramente non privo di ostacoli, ma voglio continuare a fare lo stesso percorso. Poter permettermi ancora una volta di poter essere chiamato per altri mille braccialetti rossi. Oggi Niccolò Agliardi di cosa ha sete? Cioè: che cosa fa? Io oggi scrivo canzoni, poi divento “un braccialetto rosso”, poi scrivo un libro, poi faccio televisione: ma tutto questo lo faccio perché ho sete della sete. In buona sostanza, è essere vivo e avere molta voglia di continuare a vivere.

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