Radici: un Blog quasi pornograficoLo Capitalo Umano

Tua figlia sta col figlio di uno di quegli squali della finanza tipo the Wolf of Wall Street, con la villa, la moglie bonazza, l’avvocato svizzero che gli fa gli inciuci e i macchinoni parcheggiati...

Tua figlia sta col figlio di uno di quegli squali della finanza tipo the Wolf of Wall Street, con la villa, la moglie bonazza, l’avvocato svizzero che gli fa gli inciuci e i macchinoni parcheggiati a bordo piscina.

Uniche due differenze: di cognome fa Bernacchi, che suona tanto di provinciale che ha fatto due soldi con la fabbrichetta e, al contrario di Di Caprio, recita come un cane con la scabbia.

Allora che fai? Decidi di rompergli le palle fino a che non ti propone di investire 700.000 Euro, che non hai, in un fondo che quelli di Madoff al confronto sembrano il bussolotto delle mance nel bar del tresette sotto casa di mio nonno.

Classico stereotipo all’italiana insomma, grande tributo del maestro Virzì al maestrone Fellini. Vi giuro che, alla fine dello spettacolo, la gente in sala si è messa ad applaudire. Ed ero all’Odeon Cinema di Milano, quello con i tamarretti di Rozzano con le Timberland slacciate che si fanno fare i pompini in bagno, mica all’Apollo, che lì applaudono pure se gli proietti i trailer iniziali al contrario che sembrano un film di Terrence Malick.

Fino al termine della seconda storia, quella con la moglie scema, che se dietro la cinepresa ci fosse stato Renè Ferretti non avrebbe fatto altro che urlarle “cagna!”, sono rimasto fiducioso. Ho pensato:

Giorno più giorno meno, sono passati 8 anni da quando Crash ha vinto l’oscar, abbastanza perché il 90% degli spettatori non noti una palese scopiazzatura”.

E così, ingenuo, mi aspettavo che personaggi aridi, piatti, ridicolmente stupidi, venissero messi in pessima ed ottima luce attraverso gli episodi, con una caleidoscopica mostra dell’intero spettro della loro natura.

Tutte cazzate.

Quelle di Virzì non sono né macchiette, né personaggi sofisticati. Sono dei ceffi che non hanno nulla di reale nella loro imbecillità e non riescono ad avere nulla di grottesco, grazie alla ridicolezza dei dialoghi e alla povertà dell’interpretazione. A tratti sembra un film (europeo) doppiato male in Italiano.

Il tutto condito con due-tre spezzoni che sembrano gli strafalcioni trasmessi alla fine dei telefilm anni 90’. Il professore di teatro terrone che urla “dilettante” con le mani a megafono sulla bocca e lo slancio del busto, tipo Martellone quando fa “Esticazzi”, il padre che dentro il teatro, assieme ai 900.000 Euro, chiede pure una slinguazzata, il ragazzetto che col pettorale di fuori si bulla della macchina: “Allora? Che te ne pare del mio bolide?”. Voglio dire, sul serio?  

Per finire le inquadrature allo specchio delle tette della ragazzetta, buttate lì, senza senso (oppure è ossequioso omaggio al mega-maestro Dino Risi? Sono confuso), assieme alla scena madre di lei che si sente sporca e quindi piange nuda inginocchiata sotto la doccia. Che cult signori! Che stile! Roba di gran classe!

La svolta che credi sia sempre dietro l’angolo, ad ogni capitolo, quella che riprende le fila di tutto quest’ammasso approssimativo e ti fa dire: “cazzo, che film!” non arriva mai, perché semplicemente non c’è.

Invece ci sono le due righe finali su schermo nero, il risarcimento dell’assicurazione troppo basso se commisurato alla vita di uomo, perché la vita è sacra e non c’è somma che possa riempire il vuoto della perdita, figuriamoci poi se non sono nemmeno 300.000 Euro. Cioè, che poverata.

Dovrebbe essere il filo conduttore del film, ma io francamente non me ne sono accorto. Sarà che ero distratto perchè continuavo a chiedermi come fa Scamarcio a stare con la Golino.

E poi vengono a dirmi che La Grande Bellezza è una boiata assurda.

Se anche tu, come noi, credi ci sia più talento (nonchè più gnocca) in 1 minuto e 50 di trailer di American Hustle che in 116 minuti di Capitale Umano, benchè nessuno ti ridarà mai quegli 8,75 Euro che hai speso per vederlo, puoi sempre cominciare a seguirci su Facebook e Twitter, così, tanto per commettere un altro grosso errore.

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